IL CASO SPOTLIGHT (2015) di TOM McCARTHY
La fiducia stuprata ed i prototipi di un cambiamento
La gravità della violazione di un rapporto di fiducia è strettamente correlata alla posizione delle parti del rapporto stesso.Tanto più una delle due parti si trova in una situazione di soggezione, rispetto, reverenza, nei confronti del suo interlocutore, tanto più la delusione che può derivare dalla violazione del rapporto di fiducia che fonda questa relazione può essere connotata da effetti conseguenziali sul piano personale.
Quando poi questa “delusione” si concretizza in un trauma, come può essere una violenza sessuale, nelle sue molteplici declinazioni, l’effetto è deleterio, spesso impossibile da superare.Per questo il tumore della pedofilia nella Chiesa è dirompente.
Non è il solito maniaco che tocca il ragazzino che pure è gravissimo. Per chi non ha mezzi economici la fiducia nel proprio parroco rappresenta lo strumento per pervenire a quel mondo diverso e lontano che rappresenta l’unica alternativa al mio stato miserevole, alla altrimenti impossibile comprensione della mia presenza su questa terra.
Ma la trascendenza per un altro mondo richiede, pretende, l’osservanza di una serie di precetti che rappresentano il suo lasciapassare.Tra questi rientrano quelli inerenti all’intangibilità, al rispetto dell’Altro, quale persona fisica, in tutte le sue forme, tra le quali quella relativa alla sfera sessuale. Ecco il corto circuito psichico che le persone, soprattutto se giovani, subiscono: come è possibile che non posso commettere atti “impuri”, su di me e sugli altri, secondo il Credo cattolico, se colui che in terra verifica il rispetto di quel Credo, che mi somministra l’Eucarestia, cioè il Corpo di Cristo, li sta commettendo su di me?
Il caso Spotlight è un imponente e coraggioso lavoro cinematografico nella misura in cui pone proprio al centro dell’attenzione dello spettatore, attraverso un’inchiesta giornalistica realmente accaduta, il profilo intimo, interiore delle vittime delle metastasi pedofile da parte di alcuni preti.
E lo fa nella maniera più cruda, perché lo fa con le testimonianze, quasi documentaristiche, delle stesse vittime anche se con la mediazione attoriale. Senza girarci intorno, in modo che senti su di te quello che veramente è accaduto ad altri.
Ma se questo è il profilo interiore della vicenda, ancora più interessante è quello relativo al rapporto tra il sistema di insabbiamento, minimizzazione della pedofilia nella Chiesa, e l’inchiesta giornalistica. Il sistema si autoalimentava attraverso una cappa di omertà che non toccava solamente (e ovviamente) la Chiesa. Perché quando una qualsiasi comunità, piccola o grande che sia, ha una vocazione fortemente religiosa, “tutto” quello che accade all’interno diventa “sistema”. Ad iniziare dalle famiglie, che preferiscono coprire un abuso sessuale, anche su di un proprio caro, che mettersi contro la parrocchia, subendo poi quella emarginazione dalla propria comunità classica di chi non accetta il “sistema”.
La stessa testata giornalistica che è il nucleo dinamico del film, Il The Boston Globe aveva “sottovalutato” alcuni casi di pedofilia commessi da preti, perché considerati di poco rilievo in quanto riconducibili a situazioni personali. E solo un nuovo direttore, venuto da fuori, farà emergere la grave rilevanza di quello che era accaduto.
Cosa sta a significare ciò? Che il vero valore aggiunto del film va ricercato proprio in quelle figure che hanno rappresentato la chiave di svolta del marcio sistema di copertura degli abusi sessuali effettuato dalla Chiesa.
In primo luogo nella figura apatica ed imparziale del neo direttore, Marty Baron, che proprio perché proviene da altre esperienze giornalistiche, non soffre di quei condizionamenti ambientali propri di chi nasce in una comunità ed inevitabilmente subisce. E questo la dice lunga sulla prima condizione di un giornalismo veramente indipendente: la terzietà. Da tutto e da tutti.
In secondo luogo nella figura dell’avvocato Garabedian, che sacrifica tutta la sua quotidianità, non solo ad aiutare le vittime degli abusi, ma soprattutto nel cercare di denunciarne gli autori. Senza accettare alcun compromesso.
Ed in terzo luogo nel capo di Spotlight, la sezione investigativa del The Boston Globe, Walter Robby Robinson, che ammette che Lui stesso ha sbagliato a non far emergere negli anni precedenti gli abusi, relegando quei fatti ad articoli di secondo piano, ma non riuscendo a percepire che le alte gerarchie ne erano a conoscenza limitandosi a “spostare” gli autori, che ovviamente si portavano dietro il problema. Ecco perchè la figura dell’ottimo Michel Keaton è importantissima: un sistema si combatte anche quando chi ha il potere di far emergere i mali di quel sistema ammette l’errore e fa di tutto per superarlo.
Cosa ci insegna quindi Spotlight? Che l’emersione di qualsiasi sistema perverso richiede massimo rigore, indipendenza di valutazione, e determinazione nel combatterlo, e che soprattutto in questi casi va accantonata quella naturale tendenza compromissoria che sposta solo il problema senza eliminarlo.
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