SCENE DA UN MATRIMONIO di INGMAR BERGMAN (1973)

“possono due coniugi stare insieme tutta la vita?”

Joan (Erlaind Josephon) e Marianne (Liv Ulmann), docente universitario lui ed avvocato divorzista lei, sono sposati da 10 anni con due bambini.

La scena iniziale del film, dove vengono intervistati nella propria casa per una periodico, consente di delineare subito la personalità dei due coniugi.Joan presenta una figura narcisistica, soprattutto nel definire il suo rapporto con il prossimo; Marianne svela invece un profilo sentimentale, altruista, felice del triplice ruolo di mamma (hanno due figli), moglie e professionista.

Alla fine di un cena, passata con altri due coniugi loro amici, che stavano passando una forte ed oramai avanzata crisi coniugale, Marianne pone al marito una prima domanda che coinvolge lo spettatore nella questione, complessa ed attuale, posta quale nucleo fondante del film:possono due coniugi stare insieme tutta la vita?

Marianne comincia a riflettere anche sulle loro abitudini sessuali, e si rende conto che effettivamente il tempo ha portato ad un affievolimento della loro intesa, fino a che una sera Johan gli dice che si è innamorato da tempo di una studentessa e che vuole partire con lei per alcuni mesi.

La scena è drammatica anche perché Marianne non accetta la nuova situazione in quanto fermamente innamorata del marito.

Ma paradossalmente, quando si rivedono al suo ritorno, Johan è visibilmente trasformato.

La sua drastica scelta, che avrebbe dovuto rafforzare la vitalità di maturo professore universitario legato ad una giovane studentessa, palesa invece uno stato confusionario, fino al punto in cui lui asserisce di essere ancora innamorato della moglie.Marianne, al contrario, ammette di aver avuto una fugace ed inutile storia d’amore, che è soddisfatta della vita che sta conducendo come mamma e professionista, e che è felice di essere ancora innamorata del marito.

Prima di ogni riflessione, sorprende la capacità di Bergman di affrontare certi temi, delicati, intimi, sempre con un linguaggio “borghese”, quindi corretto, pacato, riflessivo, anche se chiaro, diretto, spesso crudo.“Scene da un matrimonio” non è un film sulla incomunicabilità. Anzi.

Siamo molto lontani dai mutismi urlati di indifferenza nei confronti dei propri congiunti di “Sussurri e Grida” e “Sinfonia d’Autunno”. Il confronto schietto, aperto, tra i due coniugi, persiste per tutta la durata del film.

La bellezza, anche estetica, dell’opera è incentrata proprio sulle loro dinamiche dialogiche.Il film, invece, affronta, quali corollari del nucleo diegetico sopra delineato, due situazioni estremamente attuali, e non legate ad un ambito solo generazionale tenuto conto del periodo in cui è uscito nelle sale.

La prima è rappresentata dai rapporti matrimoniali consapevolmente trascinati da ambedue i coniugi. Uno degli emblemi della coazione a ripetere freudiana.

In questo senso, molto rappresentativa, non è solo la scena della cena, ma soprattutto quella del colloquio tra Marianne ed una signora, Jacobi, che si rivolge a lei, in qualità di avvocato, perché vuole divorziare. Freddamente gli confessa di non aver mai amato il marito, malgrado 20 anni di matrimonio, e che il loro legame si è trascinato solo per amore dei figli, con l’inquietante conseguenza che l’odio della sig.ra Jacobi per il coniuge si è esteso anche a questi ultimi.

La seconda, quella prioritariamente affrontata da Bergman nel film, attiene alla violazione del rapporto di fiducia di cui è vittima il coniuge ancora innamorato.E il modo iniziale con cui Marianne cerca di affrontare questa situazione imprevista, per non soccombere sul piano psicologico, è lasciar sopravvivere l’ideale dell’amore eterno che lega due persone, anche solo nella mente di una delle due.

Ma Bergman va oltre, e dimostra come anche in questo caso il progressivo allontanamento della stessa donna dal vincolo coniugale comporta, da un lato, il lento affievolimento dal proprio sentimento che sembrava inossidabile, ed in concomitanza, con il mutamento comportamentale, l’obbligo, da parte dell’altro coniuge, di verificare il reale assetto dei suoi sentimenti.Marianne cambierà pure lei, dimostrando che spesso la consuetudine retta solamente dalle convenzioni sociali, può generare, effettivamente, legami fasulli, e che, paradossalmente, se l’affetto era reale, solo il tempo e la libertà riacquistata, lo potranno o meno confermare.

Tutto, sotto l’ombra inquietante di una società che genera confusione ed incertezza anche nei confronti dei sentimenti – apparentemente – più solidi.

Un’ultima riflessione. La figura dei due figli non incide assolutamente nelle scelte dei coniugi, ed addirittura sono quasi inesistenti nei loro dialoghi. Se ciò è sicuramente strumentale all’analisi del regista svedese, potrebbe generare qualche perplessità sullo spostamento di questa esclusione su un piano maggiormente realistico.