“Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te.” (Friedrich Nietzsche)

Prima, un utile premessa

The Village può essere considerato, nel suo genere, anche un giallo con tanto di finale a sorpresa, questo significa che sapere in anticipo come va a finire, ovviamente, ne inficia la visione.

In questo post io svelerò il finale, perciò a tutti quelli che hanno visto il film consiglio di continuare a leggere con tranquillità; a tutti quelli che non l’hanno visto ed hanno intenzione di vederlo, consiglio di non procede oltre: copiate questo link, vedete prima il film e poi riprendete a leggere.

 

La storia…

Il film racconta la storia di una piccola comunità che vive in un villaggio all’interno di un bosco. Non è precisato il periodo nel quale vivono però una serie di elementi tra cui l’assenza di luce elettrica, di automobili e di altre tecnologie ci fanno pensare che siamo nel XIX secolo. Viene descritta una comunità semplice con gli adulti molto disponibili ed accoglienti, che facilitano la comunicazione e non sono particolarmente giudicanti verso i giovani. Ci sono assemblee di adulti nelle quali i giovani possono portare delle proposte, una sorta di parlamento aperto. Inoltre, sono facilitati gli scambi affettivi; non sembra che esistano delle punizioni eccessive (sola la camera per riflettere, una specie di prigione gentile per punire le trasgressioni). In sintesi, potremmo dire che le persone del villaggio sembrano abbastanza felici. C’è solo un problema: il villaggio si trova in una radura circondata da un bosco nel quale vivono misteriose creature chiamate “le creature innominabili” con i quali gli anziani, in passato, hanno siglato un patto: promisero alle creature di non inoltrarsi nei loro boschi a patto che esse non invadessero il villaggio. Il confine è evidenziato da grandi torce legate ad alti pali di legno. Queste “creature innominabili” sono abbastanza terrificanti e fanno molta paura, li conosceremo in seguito…

Il film si apre con un lutto: un bambino di 7 anni morto per una malattia, che probabilmente poteva essere curata con farmaci che però la comunità non possedeva. Così si avvia, potremmo dire, l’avventura dell’eroe Lucius, il quale chiede al consiglio degli adulti di poter uscire dal bosco ed andare nella città più grande a procurarsi delle medicine che potrebbero in futuro salvare altre vite. Lucius sostiene che se si inoltrerà nel bosco con animo puro gli “esseri innominabili” non gli faranno nulla. Gli adulti negano questa possibilità perché il viaggio sarebbe molto pericoloso.

A questo punto entrano in scena altri due personaggi, la figlia del capo del villaggio, Ivy, una ragazza cieca, e il suo più caro amico, Noah, con evidenti disturbi mentali. Questo è il terzetto che animerà la storia del villaggio: un eroe forte e deciso, una ragazza audace, bella e cieca e un matto.

Lucius inizia a fare dei piccoli tentativi di uscire dalla zona di confine e da quel momento succedono fatti strani, le “creature innominabili” entrano nel villaggio sconvolgendo la vita degli abitanti, scuoiano gli animali, disegnano dei simboli strani nelle porte (evocazione biblica della fuga dall’Egitto con le porte dipinte con il sangue di agnello per differenziare le case degli Israeliti da quelle degli egiziani). Finalmente, tramite una vedetta, riusciamo anche a vederli: sono degli scheletri, vestiti di un manto rosso, con artigli lunghi e terrificanti. Il fatto nuovo è che Lucius dichiara il suo amore verso Ivy, è un amore bellissimo, intenso, passionale che li porta a decidere di sposarsi. Il film è, e a mio avviso rimane, una fiaba con tanto di coppia messianica che ha il compito di salvare la comunità e il pazzo che nella sua follia attiva il vero processo di cambiamento.

Infatti gli eventi precipitano: Noah, in un delirio di gelosia, accoltella Lucius e a questo punto l’unico modo di non lasciarlo morire è quello di andare nella città per comperare i farmaci necessari a salvarlo. Ivy adesso deve agire non più spinta dalla curiosità ma dall’amore, come in tutte le fiabe è l’amore il vero motore del cambiamento. La ragazza chiede al padre di poter avventurarsi nel bosco e il padre, che rimane sempre un uomo saggio, decide di aiutarla. Ed è in questo momento che si svela tutto il mistero di questa vicenda. In realtà non esiste nessun essere innominabile, sono stati gli adulti del villaggio ad alimentare una vecchia leggenda di quei luoghi. I rumori terrificanti e i vestiti sono stati creati dagli adulti per spaventare i giovani e impedire loro di allontanarsi nel bosco. Il motivo che aveva spinto questo gruppo di persone a trasferirsi nel bosco e inventare questa storia lo comprendiamo un po’ più tardi, quando il padre di Ivy apre una cassetta, fino a quel momento misteriosa, nella quale si vedono articoli di cronaca, tutti gli adulti del villaggio erano accomunati dal fatto che in passato un loro familiare aveva subito una violenza culminata con la morte. Una sorella era stata violentata e uccisa, il padre del capo del villaggio ucciso nel sonno dal suo socio, il fratello di un altro ucciso da un pazzo in ospedale e così via. Erano tutte persone traumatizzate dalla violenza che per reagire avevano deciso di costruire un mondo alternativo, parallelo, lontano dalla civiltà crudele, ed avevano deciso di alimentare una vecchia leggenda per difendersi.

 

Qualche riflessioni psicologico/gruppale al film

L’idea di una comunità o un gruppo che per proteggersi e compattarsi individua un nemico esterno sul quale far ricadere tutte le colpe è un’idea antica quanto l’uomo. Nasce dall’ambizione profonda di poter separare il bene dal male. Nel film sembra che gli adulti riescano nel loro intento, in effetti ne viene fuori una comunità felice. Quello che non funziona è la non consapevolezza, l’inganno con il quale vengono spaventati i giovani a non allontanarsi dal villaggio. Da questo punto di vista il viaggio di Ivy, cieca che si mette in cammino alla ricerca dei farmaci in città, attraversando il bosco, che comunque mantiene la sua forza terrificante, sola perché abbandonata dai due accompagnatori paurosi, è straordinario. Si passa dal buio, dalla cecità (Saramago insegna), alla luce della conoscenza. Ivy scopre, o almeno intuisce, che fuori la città è moderna, ed anche lo spettatore ne riceve un senso di straniamento vedendo le macchine, i telefoni, le strade asfaltate ecc.

Un punto debole, o forse ambiguo del film, sempre seguendo una chiave di lettura psicologica, è l’idea che per far procedere qualcosa è necessaria una vittima sacrificale, un capro espiatorio (la storia si ripete sempre!). E, naturalmente, la vittima prescelta non può che essere il matto, che ad un certo punto viene identificato, concretamente, con il mostro. Dal punto di vista gruppale, questo potrebbe essere un limite, perché se per far evolvere un gruppo uno dei suoi membri deve essere sacrificato, qualcosa non ha funzionato proprio bene. Se, invece, lo leggiamo da un punto di vista simbolico, allora il matto potrebbe essere identificato con l’idea “pazza” di creare i mostri esterni per proteggere la comunità e, allora, la sua morte coincide con l’abbandono di questo pensiero folle, o “non pensiero”, e quindi con una nuova fondazione basata sulla conoscenza e la consapevolezza. Direbbe Bion che il gruppo esce dall’assunto di base per trasformarsi in “gruppo di lavoro”. Questo ovviamente rimane un punto aperto, che il film non chiarisce e forse va bene così.

Naturalmente, il fondatore è anche quello che deve accettare l’idea nuova e convincere gli altri adulti a seguirla. L’idea nuova è la trasmissione della conoscenza e la speranza è che anche la nuova coppia di seconda generazione potrebbe decidere di continuare a vivere in quel luogo e con quei fantasmi, oppure allontanarsi. Anche in questo caso il finale ci lascia tante domande, forse anche quella più importante, ovvero se la conoscenza coincide con la salute (Pirandello non sarebbe molto d’accordo!), io direi che probabilmente no, però la conoscenza della realtà è l’unica forma di potere buono che l’umanità ha costruito e vale sempre la pena sperimentarla.