7 Prisioneiros (Brasile, 2021). Regia: Alexandre Moratto. Interpreti principali: Christian Malheiros, Rodrigo Santoro, Bruno Rocha, Vitor Julian, Lucas Oranmian
Mateus lascia la casa dove vive in campagna, la madre e le sorelle, per andare a lavorare a San Paolo. Un autista gentile e sorridente accompagna lui e altri tre ragazzi lungo il viaggio che terminerà davanti a una saracinesca oltre la quale c’è una discarica. Dei quattro Mateus è il più giovane ma anche l’unico che ha studiato. Quando inizierà a capire di essere diventato uno schiavo costretto a lavorare in cambio di poco cibo e uno squallido materasso proverà a ribellarsi e fuggire. Ma il sistema dello sfruttamento degli esseri umani è troppo rodato per permettersi qualche smagliatura, fosse anche una perdita impercettibile come quella di un contadino di 18 anni che vuole solo tornare a casa dalla sua famiglia.
Il suo schiavista si chiama Luca: è il signore della discarica, gira armato e non teme nulla. I quattro ragazzi presto si rendono conto di non avere scampo: il presunto debito che hanno contratto con Luca, in realtà pochi soldi anticipati alle rispettive famiglie, dovranno saldarlo lavorando gratis per un periodo indefinito. Impossibilitato a ribellarsi, Mateus propone a Luca un patto: lui e gli altri ragazzi aumenteranno la produttività così da riuscire ad ottenere di nuovo la libertà dopo sei mesi.
Lentamente Mateus inizia a collaborare con Luca, che gli offre uno spiraglio di fiducia e un briciolo di autonomia. Forse ha bisogno di una sponda che lo aiuti nei confronti di un gruppo di prigionieri difficile, o forse cerca solamente un contatto umano diverso dalle minacce e dalla violenza.

Lo porterà con sé anche all’esterno, dietro altre saracinesche di San Paolo, dove sono rinchiusi al buio e legati uomini e donne immigrati e senza diritti. Costretti i primi a lavorare come schiavi, le seconde a prostituirsi, senza nessuna opportunità di fuggire.
Mateus appare indeciso ogni volta, non sa se accogliere questa possibilità che lo avvicina alla libertà ma lo allontana dai suoi compagni di sventura. Sceglierà con chi schierarsi quando riporterà indietro un prigioniero che ha tentato di fuggire, ma sempre con la convinzione che sta facendo questo anche per i suoi compagni. Nel frattempo al gruppo si sono aggiunti tre prigionieri. Sono sette, come riporta il titolo che quindi comprende anche Mateus. Ma lui ha le chiavi della porta del dormitorio, dove li rinchiude tutte le notti.
I sonderkommando erano gruppi di deportati, perlopiù ebrei, obbligati a collaborare con le SS all’interno dei campi di concentramento. Certo la shoah non è minimamente comparabile alla schiavitù, ma nel mondo di oggi è una piaga sempre più diffusa. Ne abbiamo già parlato qualche mese con Made in Bangladesh: il cinema di impegno civile, quello che da noi negli anni Settanta raccontava la fabbrica e le lotte operaie, oggi dall’altra parte del mondo accende una luce sulla tratta degli esseri umani più miseri. Gli ultimi, quelli che possono scomparire senza che nessuno appenda un lenzuolo alla finestra per reclamare la verità sulla loro sorte.
Ma ciascuno ha le sue ragioni e nessuno può giudicare. Non lo fa Alexandre Moratto, che si limita a dipingere un racconto semplice e teso, in cui il dilemma delle scelte si scontra con i sogni che le avevano precedute, immaginando un futuro diverso. Non lo fa Mateus, che dietro uno sguardo insieme umiliato e di sfida rinuncia ogni volta alla possibilità di fuggire. Non lo fa Luca, che viene dalla miseria più nera, e per il quale avere potere di vita e di morte su altri esseri umani è solo il modo che ha trovato per farsi strada.
Magari avrebbe voluto un figlio, ma vivere all’interno di una discarica e ubriacarsi ogni tanto insieme a una prostituta non è un buon modo per costruirsi una famiglia. Magari in Mateus, tosto, determinato, intelligente, intravede il figlio che avrebbe desiderato e per questo inizia a cedergli un po’ del suo potere, e a dividere con lui brevi attimi di confidenza.
Le cinematografie lontane spesso ci raccontano storie che sentono urgenti, necessarie. Niente telefoni bianchi, dame sofisticate o delitti nell’alta società. Niente guerre di religione o difesa del benessere acquisito. Niente elaborazioni del lutto, separazioni, fughe dal mondo. Ci parlano soprattutto di miseria, sfruttamento, voglia di riscatto, che sono l’altra faccia di una ricchezza spesso senza confini. Parlano ai propri Paesi ma anche al mondo. L’uomo come fine e non come mezzo, diceva Kant. Frase oggi sempre più spesso ribaltata.
Straordinari gli attori, alcuni dei quali non professionisti, e perfettamente dosati i tempi scenici e drammaturgici. Il cambiamento di Mateus è lento e apparentemente irreversibile, e per quanto faccia di tutto per mantenere una sua pietas nei confronti dei compagni, arriverà il momento della scelta da cui non potrà tornare indietro.
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