“la vita non vuole il suo bene” Sigmund Freud
Pasolini conosceva bene la figura di Sigmund Freud.
A parte i riferimenti bibliografici che lo vedono lettore assiduo, di Freud Pasolini ha sicuramene condiviso quel concetto di atavica pulsione di vita, eccitazione, che riscontrava nell’ultimo puro arcaismo di molti dei suoi personaggi letterali e cinematografici, e non solo del primo periodo neorealista (pensiamo, tra l’altro al Jiulian ed al cannibale di “Porcile”).
Purezza primitiva, ancora non sterilizzata, sporcata, condizionata da quel consumismo fagocitante che aveva eliminato ogni forma di spontaneismo umano individuale e collettivo a Lui molto caro.
Ma Pasolini di Freud ha assimilato soprattutto il mistero dell’inconscio umano, ed in particolar modo della sua forma più conosciuta di linguaggio, di rappresentazione: cioè il sogno.
Il sogno è il leitmotiv diegetico di una delle sue tragedie, “Affabulazione”; è presente nelle “Mille e Una notte”, onirico è l’episodio “La Terra vista dalla Luna”, ed il sogno è parte imponente sotto forma di allucinazioni nel suo ultimo ed incompiuto romanzo, “Petrolio”. Ma soprattutto è, personalmente, la parte più affascinante e contestualmente inquietante del suo primo film, Accattone.
Il sogno di Vittorio Cataldi detto Accattone, essendo nel film premonitore della sua tragica morte (è quasi a ridosso del finale del film), apparentemente non sembra possedere le caratteristiche del sogno freudiano, che non si volge come quelli antichi a leggere il futuro, ma mira a comprendere ciò che noi siamo. Ed in particolare, proprio attraverso l’esame dell’inconscio che si manifesta nei sogni, quale sia il nostro il desiderio, cosa muove la natura umana.
Malgrado questo ritengo che invece proprio l’analisi del sogno ci possa dimostrare quanto Pier Paolo Pasolini abbia voluto rappresentare l’inconscio del suo Accattone.
E forse anche il suo.
1) Bilico
Il sogno inizia con Accattone che cammina in bilico su un muretto. Senza nulla attorno se non il cielo. La vita di Accattone è una vita in bilico. E’ la povera esistenza di un sottoproletario delle borgate romane diviso tra la necessità di sopravvivenza con furti o lo sfruttamento delle prostitute e la voglia di cercare di superare questa situazione quando incontra Stella, una donna di cui si innamora. Ma una vita in bilico resta una vita predestinata da un destino che può solo percorrere in uno spazio strettissimo. Una vita Heideggerianamente “gettata” nella sua indefinitezza che difficilmente può, con quelle condizioni di nascita, modificare il suo corso.
2) Rabbia
Accattone ad un certo punto vede una scena. La banda dei suoi nemici, di coloro che lo avevano denigrato, offeso, seduti sotto alcune mura diroccate. Lui si avvicina e, sorpreso, l’immagine davanti ai suoi occhi muta. I quattro uomini giacciono nudi e sanguinanti sotto le macerie. Il disprezzo di Accattone si è concretizzato nel sogno. Il desiderio della loro fine si materializza ma non attraverso la sua mano ma sempre tramite quella indeterminatezza, “fatticità costitutiva” propria dell’essere umano. Anche loro, votati ad una vita fuori dai canonici schemi sociali, sono predestinati ad un tragico destino
3) Esclusione
Oramai Accattone è un non vivo. E partecipa al suo funerale, chiamato dai suoi amici che sono in corteo e gli dicono che è morto Accattone. Una lacrima gli scende sul viso, ma decide di partecipare anche Lui al suo corteo funebre, in vestito nero come gli altri. Ma Accattone è destinato a subire quella condanna personale che lo ha sempre attanagliato: l’esclusione sociale, concretizzata dal divieto di entrare nel cimitero. Deve restare fuori, non gli è consentito avvicinarsi ad un rito sacro, religioso, cattolico, come quello della sepoltura. Subisce così la massima espressione di confinamento dell’uomo, il mancato riconoscimento della sepoltura in un luogo sacro. Interessante l’immagine dei due piccoli bambini, completamente nudi, che giocano all’entrata del cimitero.
4) La fossa
Ma Accattone vuole essere sepolto. Salta il muretto e si trova di fronte ad una vallata. Non c’è alcun cimitero ma solo un becchino che gli sta scavando la fossa. Solo che questa è ombrata, e Accattone gli chiede di spostare la buca più in là in una zona soleggiata. Se l’oscurità ha avvolto tutta la sua esistenza, almeno l’oscurità della morte dovrà essere allietata dal sole. E viene accontentato.
Così finisce il terribile sogno di Vittorio Cataldi.
5) Epilogo: volere la propria morte.Il desiderio? “Ah, mò sto bene”. Questa è la frase che morente alla fine del film pronuncia Accattone. Anche se inconsciamente Accattone vuole ritornare al suo stato inorganico, ad una non esistenza di un vivo che non ha deciso di nascere nè di morire. Come tutti gli uomini.
Ed in questo c’è tutto il Freud degli ultimi scritti, di “Al di là del principio di piacere”, della sua seconda topica. Freud, sulla base della sua esperienza professionale di psicoterapeuta, abbandona negli ultimi anni della sua vita il concetto di pulsione di vita, cioè di piacere, che lo aveva sempre caratterizzato, per avvicinarsi a quello della morte come scopo dell’esistenza umana. “La vita non vuole il suo bene”. L’uomo, o come eccesso di godimento che non conosce limiti, o come voglia di ripristino della sua inorganicità, a seconda dell’interpretazione che si è fornita negli anni successivi a questo saggio, possiede una pulsione di morte superiore a quella della vita.
Pier Paolo Pasolini ha molto di Vittorio Cataldi. La sua vita contiene, pur con le ampie differenze, tutti i profili esaminati, ma soprattutto è la vita di chi non ha mai rinunciato a scoprire cos’è l’uomo. E non nell’analisi di un “Io” rigoroso, blindato, formale che governa la nostra quotidianità, ma nel tentativo assiduo di penetrare sempre dentro la parte più profonda e oscura di noi: ma forse quella più sincera.
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