AGNUS DEI (2016) di ANNE FONTAINE

Abramo, il figlio Isacco, e l’Angelo di Dio

L’Angelo di Dio ferma la mano di Abramo prima che uccida suo figlio Isacco.

Quale Legge prevale: quella del Padre supremo, che, per verificare l’assoluta fedeltà di Abramo, gli impone di uccidere il proprio figlio, o quella morale che non può in alcun modo considerare ammissibile un infanticidio, anche se ordinato dal proprio Dio?

Una dottoressa della Croce Rossa francese, Mathilde, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, inviata in un campo umanitario in Polonia, viene raggiunta da una suora che gli chiede di recarsi con lei urgentemente nel convento perché una consorella sta male.

La scena che gli si pone davanti ai suoi occhi è drammatica: la suora sta partorendo, ma la dottoressa, per non rischiare la vita della madre considerata la posizione del feto, è costretta a fargli immediatamente un taglio cesareo per salvare il bambino (che poi verrà subito affidato ad una zia della suora). Mathilde viene poi a conoscenza che tutte le suore di quel convento sono state stuprate da soldati sovietici, più volte in vari giorni, e sei di loro sono rimaste incinta. La dottoressa capisce subito la gravità della situazione e cerca, anche a discapito dell’efficienza nello svolgimento del proprio lavoro, e nascondendo il tutto ai propri superiori, di aiutarle.

Da questo momento in poi inizia un titanico sforzo da parte di Mathilde per superare la diffidenza che le suore hanno nei suoi confronti, distacco apparentemente incomprensibile, ma motivato dalla necessità di osservare il proprio Credo, anche a scapito della salute loro e dei loro nascituri: non solo non possono essere visitate, ma neanche essere toccate, pena la dannazione eterna. Né, e a maggior ragione, è possibile che tutto ciò che è terribilmente accaduto venga conosciuto all’esterno, pena l’isolamento da parte della propria comunità e la chiusura del convento.

Il film è imperniato su questo percorso di reciproco avvicinamento da posizioni lontanissime, antitetiche, tra Mathilde e le suore. Da un lato la dottoressa, che vede nella medicina non solo l’unico strumento per curare e salvare delle vite, ma anche la risposta etica al bisogno altrui; dall’altro le suore, ferme nel loro convincimento che in ogni caso, anche di fronte all’orrore di cui sono state vittime, prevalga sempre la Fede in Dio, e che l’unica risposta che debba soddisfare il loro dubbio, legittimo di fronte all’orrore che hanno subito, è l’Amore del Signore nei loro confronti.

Un giorno, la fermezza della stessa dottoressa nel bloccare un nuovo tentativo di stupro collettivo da parte di soldati sovietici che avevano occupato nuovamente il convento, rafforzerà ulteriormente il rapporto di fiducia tra lei e le suore.

In questo senso è molto interessante il rapporto scontro tra la Madre superiore, freddamente e risolutamente ostinata a far rispettare le regole del Convento, anche a scapito della propria salute (rigetta le cure per una sifilide che ha contratto durante lo stupro), e la giovane suor Maria, fortemente divisa tra la consapevolezza che solo l’aiuto della scienza potrà salvare le consorelle, da un lato, e l’intransigenza della Madre superiore.
Intransigenza che porterà quest’ultima a lasciare morire nel bosco al freddo uno dei neonati, che intanto stanno nascendo.

Ma oltre alla determinatezza di Mathilde, c’è un altro elemento che rappresenterà, nello scorrere delle scene, il momento di fusione, armonico e non traumatico, delle due opposte esigenze, etiche e religiose: la nascita di una nuova vita.

I figli non voluti, subiti, generati con la violenza, odiati in quanto considerati il mezzo inaspettato ed ingiusto verso quell’inferno che la sofferta scelta giovanile di abbracciare la Fede cristiana voleva evitare, cominciano ad apparire anch’essi come un dono. La sofferenza ed il dolore subito non possono irradiarsi ad altri esseri umani per il solo fatto dell’esistenza delle Fede: e sicuramente alcun Dio potrà punire delle donne, anche se suore, che generano, perché costrette, i loro figli.

Lo stesso Dio biblico ha inviato un Angelo per bloccare la mano di Abramo prima che compiesse un aberrante infanticidio pur di dimostrare la propria fede: quell’Angelo che la figura di Mathilde incarna realisticamente.

L’eterno conflitto troverà nel film una sorprendente soluzione finale, frutto di un colpo di genio della dottoressa. Considerato che nel campo umanitario vivevano molti orfani, questi vengono portati tutti nel convento. Sicché i bambini che nasceranno si confonderanno con gli altri. Il segreto non verrà svelato e tutti potranno avere quell’amore e quelle cure che un intransigente ma contraddittorio omaggio alla Fede avrebbe negato.

Il film, bellissimo, emozionante, è imperniato su quei due colori, il bianco ed il grigio, che appartengono ai prevalenti stati d’animo (il candore ed il dubbio) delle stupende protagonist, tutte bravissime, tra le quali emerge la coraggiosa ed intensissima Mathilde, l’attrice Lou de Laage.

La scena finale, l’ultima inquadratura, sublime sul piano estetico, ci fa ammirare tante suore sorridenti, gioiose, con in braccio i “loro” bambini insieme agli altri orfanelli, senza distinzione, offrendoci così la soluzione del dissidio, in questo caso, tra Fede ed Etica: l’Amore, quale unico bene, nello stesso istante, terreno e trascendente.