Alla mia piccola Sama (Titolo Originale For Sama, Gb, Siria, 2019). Regia: Waad Al-Kateab, Edward Watts. Interpreti principali: Waad Al-Kateab, Sama Al-Kateab, Hamza Al-Kateab.

Waad è una ragazza siriana che dopo il liceo raggiunge Aleppo per frequentare la facoltà di marketing. La mattina del 12 aprile 2012 prendono avvio le rivolte studentesche contro il regime, e a partire da quel momento inizia a filmare ciò che accade. I cortei degli studenti si trasformano in una lotta di resistenza contro il regime di Bashar al-Assad, la cui famiglia è al potere da quando il padre di Waad aveva dieci anni, ma la reazione governativa è durissima e dopo poco inizia l’assedio della città.

La vita va avanti, Waad si innamora e si sposa con Hamza, un medico dell’ospedale. Quando scopre di essere incinta decide di rimanere in città per raccontare cosa sta succedendo. Così le immagini si trasformano da semplice cronaca a una lunga video lettera a Sama, la sua bambina nata sotto le bombe.

Ci sono guerre raccontate e guerre silenziate. Guerre viste al cellulare ed altre raccontate sui libri. Reporter che raccontano dal fronte e giornalisti che riportano le notizie di agenzia. Il film si apre su Sama neonata, e la madre che le canta una nenia. Poi improvvisa irrompe la violenza con il rumore di una granata, polvere che entra dalle finestre e persone barricate in cantina per sfuggire al bombardamento. In questo trambusto Sama è attaccata al biberon e sorride.

 “Sama ho fatto questo film per te. Ho bisogno che tu comprenda perché tuo padre e io abbiamo fatto queste scelte, la ragione per cui ci siamo battuti”.

Waad racconta a milioni di persone cosa sta accadendo ad Aleppo; ma l’Occidente, come già in passato in molte altre zone del mondo, dai Balcani al Kurdistan, decide di non intervenire.

E’ un film durissimo, pieno di scene strazianti. Non c’è una sceneggiatura, solo il dipanarsi di una storia sulla cui ultima pagina non è scritto chi, alla fine, sarà ancora vivo e chi invece non ce l’avrà fatta.

Le classi che si trasferiscono nelle cantine per poter continuare le lezioni anche sotto i bombardamenti; le piccole pause di libertà durante l’assedio; la gioia per la nuova casa e i fiori di un piccolo giardino; gli aerei russi che sganciano le loro bombe sui quartieri assediati.

La scena più straziante, due fratelli che piangono un altro fratello, ucciso da un missile che ha distrutto la sua casa. E’ dentro un sacco azzurro, e i fratelli gli baciano la fronte piena di sangue. Poi arriva la madre e lo porta via, continuando a dire “mio figlio è morto”.

“Mi sembra di soffocare Sama. Ti vedo sempre come quel bambino, e io come quella madre”.

Il documentario procede per salti temporali, avanti e indietro: a raccontare la genesi dell’assedio, i lutti e la quotidianità delle persone, dietro i sacchi di sabbia che proteggono le finestre dalle schegge delle bombe. Poi in un momento di tregua una piccola festa, con i bambini che colorano con i pennelli il relitto di un autobus esploso per una bomba a grappolo: bambini che hanno imparato, dal suono, a distinguere i tipi di bombe e immaginare le possibili conseguenze.

E una scena al pronto soccorso: una ragazza incinta di nove mesi viene colpita da una scheggia, e il piccolo che nasce non reagisce agli stimoli per un tempo che sembra non finire mai. Gli ospedali vengono distrutti uno dopo l’altro: ne resta un ultimo, clandestino, ad Aleppo est, dove continua a lavorare Hamza.

Quando Waad e la sua famiglia lasciano Aleppo nel 2016, approfittando di un corridoio umanitario allestito per evacuare la popolazione, riescono a portare con sé tutto il materiale girato. Il lavoro di editing non indulge sulla sofferenza ma non la nasconde. La racconta nella sua crudezza, cercando di fare proprio lo sguardo di persone simili a noi: madri, padri, famiglie delle quali però negli anni, attraverso i notiziari, ci è solo arrivato il rumore di fondo, e qualche richiesta di aiuto umanitario che si è presto confusa con altre.

Il piccolo corpo di Sama, così incredibilmente fragile quando manca il latte, o le coperte, quando ogni mattino può essere l’ultimo, disegna il senso di ogni scelta: quella di restare per raccontare, quella di condividere con altre famiglie un piccolo pasto, quello di seppellire un amico o un collega.

Sama rappresenta la vita che va avanti nonostante tutto, e lo fa per caso, scegliendo chi può sopravvivere e chi deve morire, in un gioco assurdo senza senso.

Con il suo lavoro di filmaker Waada ha raccontato a tutti chi sono le donne, i bambini, gli uomini, le famiglie  che hanno vissuto l’assedio, perdendo la vita o salvandosi per puro caso. Persone come noi che hanno solo avuto la sfortuna di nascere nel posto e nel tempo sbagliato.

Quanto vale la battaglia per i propri ideali, per la libertà? E quanto la vita di una figlia appena nata? Sono due grandezze comparabili? Lasciare soli i compagni di battaglia per salvare la propria creatura significa tradirli? O, al contrario, raccontare al mondo il martirio di un popolo significa interpretare i desideri di una bambina e offrirle ciò che è meglio per lei? Questo film è davvero ciò che avrebbe voluto?

Forse solo Sama, quando arriverà l’età per comprendere, saprà rispondere.