Bertolucci definì alcuni suoi primi lavori film-Miura, prendendo spunto dal nome dei pericolosi tori spagnoli che nessuno vorrebbe mai incontrare.
Bertolucci girava i suoi film-Miura con un piacere intenso, intimo ma impenetrabile. Film ripiegati su sé stessi e aderenti esclusivamente ai suoi desideri.
Ecco i Fratelli D’Innocenzo hanno atteso il loro terzo film per dedicarsi un film-Miura.
Un linguaggio libero da qualsiasi dogma che si avvicina a tratti alla visual art contemporanea senza perdere le radici cinematografiche popolari dove si intravedono luoghi abbozzati di provincia e si gioca con l’uso del colore per delimitare confini.
È un film/mente. La mente dei due registi incarnata perfettamente da Elio Germano.
Ma come diceva Bertolucci, i film-Miura vivono dell’egoismo e per il piacere di chi li crea a discapito di chi osserva estraneo.
In questo film/lucchetto il tempo si dilata in un dialogo privato che parla la lingua machiavellica della famiglia e dell’amore. La famiglia come sistema vivente che trascende il destino individuale.
Rimane però addosso allo spettatore la necessità di sfuggire ad un toro pericoloso dal quale ci si ritrova braccati senza vie di fuga per evitarlo. E forse questo è lo scopo del film.
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