LIMITI DELLA NON-VITA E QUESTIONE ETICA

“Amour” di Haneke presenta, nella sua genesi diegetica e sviluppo estetico dell’opera, una duplice fortissima componente filosofica che tocca, non astrattamente, ma nella cruda realtà quotidiana, l’intera umanità, ed in particolare la parte di quella che sta volgendo, dopo “una lunga vita”, come dice Anne, al suo crepuscolo.

Formuliamo con due domande queste componenti, apparentemente slegate ma in alcune situazioni correlate fra di loro.

Qual è il limite del mantenimento forzato della vita? La scelta della vita può trovare altri limiti che non siano dettati dalla compenetrazione amorosa, unica, singolare di due persone, di cui una decide per l’altra?

L’evoluzione della ricerca medico-scientifica, se ha seguito il progresso dell’ultimo secolo finalizzato a crescere il benessere fisico ed economico dell’uomo, ha sicuramente trascinato con sé un rischio. Quello di non riuscire più a scorgere, come mirabilmente scritto da Galimberti, qual è l’esatto momento in cui ciascuno “muore”. L’arresto cardiaco? L’elettroencefalogramma piatto?

Alcune situazioni, come quella dell’ultraottantenne Anne, una vita elegante, dignitosa, distaccata, sublimata dal rapporto quotidiano con il suono del pianoforte, analogamente come suo marito Georges, pongono al nudo occhio dello spettatore questo dilemma, propriamente intimo, che può essere solo visto dall’esterno di quelle mura domestiche che ambienteranno tutto il film del regista austriaco.

Perché se il problema del lento e e progressivo disfacimento del dualismo corpo-mente può essere bloccato, subito, attraverso la scelta personale di non voler più procrastinare all’infinito la morte fisica, quale oramai obiettivo dell’attuale modello dell’uomo moderno, lo stesso problema si pone inevitabilmente quando non riesco più a gestire coscientemente la mia persona. Quando oramai sono ridotta al punto di lasciarmi lavare, vestire, o addirittura farmi togliere il pannolone, imboccare. E ciò fino a quando non bevo più, ultimo atto, perché dove non arriva la volontà oramai cancellata arriva il senso della morte quale indispensabile traguardo.

E nel passaggio sottile, invisibile, della presenza di Anne in una non-presenza, in un non-essere-del mondo, si scorge il dilemma di Georges, che può solo assistere, da vivo e vitale, a questa agonia, sua di Georges, non più di Ann che non può più comprenderla.

Georges, che non sa cosa è la morte, assiste alla morte di Anne.E quindi Georges, compenetrato affettivamente da una “lunga vita” insieme ad Anne fa quello che il sistema assistenziale moderno, anche nelle sue eccellenze, unitamente all’ipocrisia comune, come quella della figlia Eve, non potrebbe fare: accompagnare Anne alla morte facendola apparire, anche se con i naturali limiti nei confronti di un-non essere, ancora viva.

Primo, l’isolamento, l’eliminazione del teatrino inconcludente del dolore, che viene bandito da quella casa. Rimane tutto come prima, l’olimpo delle eterne reminiscenze non può essere distolto, nè tanto meno dissacrato da niente.

Secondo, la difesa della scelta di Anne: “promettimi che non mi porterai più in ospedale”. Scelta che non solo Georges onorerà fino alla fine, rivolgendosi all’aiuto di terzi solo perché fisicamente non ce la faceva ad assistere Anne, ma difenderà dinanzi ai soloni del giudizio su quello che si deve o non deve fare.

Terzo, il naturale epilogo di un’amore che ha attraversato una vita intera: la scomparsa, attesa per Lei, indefinita per Lui.

Ma il termine segue ad un gesto chiaro, sicuramente premeditato, freddo, deinitivo: Georges con un cuscino la sopprime, gli toglie quel fiato che in un sogno premonitore uno sconosciuto aveva tolto a lui tappandogli la bocca.

Ed ecco che le due componenti si fondono nel dubbio. Legittimo ciò?

Haneke, chiaramente, prescinde, evita, non tocca, neanche costeggia, la questione etico-religiosa dell’eutanasia.La sua risposta è, al contrario, una risposta di rottura, rifiuto rispetto alla morale comune: quella per cui la vita va procrastinata ad ogni costo, contro ogni volontà, perché la scelta spetta ad un Ente terzo, supremo, che non tiene conto degli affetti umani che possono legare due persone.

No.L’Amour prevale sull’eterno in quanto è già tale.