AS bestasla terra della discordia del regista madrileno Rodrigo Sorogoyen,  che già si era segnalato per film notevolissimi, come Madre e Che Dio ci perdoni, firma con questa sua prova una pellicola di grande impatto. 

Una coppia francese di mezza età decide di andare a vivere in una impervia e remota regione montana della Galizia per realizzare non solo un progetto di vita ma anche una sfida ecologica. Qui è tuttavia costretta a scontrarsi con la mentalità non solo riservata della collettività ma decisamente ostile verso il loro modo di vedere le cose.

Scambiati per degli stanchi borghesi annoiati della vita di città, vengono ritenuti colpevoli di aver avuto una opportunità di scelta che ai montanari è, invece, preclusa.

In mezzo a questa natura tanto bella quanto inaccessibile e indifferente, si consuma non solo il dramma dell’incomunicabilità ma proprio dell’odio che cresce in un puro distillato di ferocia. I due francesi lavorano duro, portano i prodotti del loro orto al mercato. Pieni di buona volontà aderiscono con entusiasmo alla svolta della loro vita, mentre per i due fratelli loro vicini di casa questa scelta appare oltraggiosa. Per loro, maschi immersi in una visione cupa e vendicativa dell’esistere, la presenza stessa di Antoine e Olga è un insulto alla povertà e alla loro stessa impossibilità di scegliere una vita migliore.

Il climax è già racchiuso all’inizio del film quando un gruppo di montanari beve e gioca nell’unico bar del paese insultando “i francesi”. Sembrerebbe un conflitto etnico, una rivalità che magari con il tempo si diluirà, e invece è il seme stesso da cui prende avvio una vicenda segnata da un conflitto ancestrale che, una volta insediatosi, non potrà essere più sradicato. Siamo spesso abituati a pensare che i dissidi potranno essere ricomposti attraverso la ragionevolezza, e che la via della concordia possa essere ripristinata se soltanto qualcuno fa un passo indietro. Questo film parla invece alla nostra anima irriducibile alla pacificazione, a quel nodo, a quel groviglio di odio inestirpabile che ci divide dagli altri. Qui non è solo l’incapacità ad accogliere lo straniero a colpire con particolare efficacia. Ad agire a livello profondo è il senso del male, che si annida proprio nelle pieghe dell’ignoranza, nella natura profondamente antica e ancestrale dell’odio. Per quanti sforzi faccia il francese, tutta la vicenda viene attraversata da una tensione crescente nella quale lo scontro viene differito ma appare ineluttabile proprio nel momento in cui la natura stessa si offre bellissima allo sguardo dell’uomo. Un paesaggio contraddittorio per il francese che lo ha scelto e che purtuttavia deve scontare tutta questa bellezza temendo che ogni albero possa nascondere l’agguato mortale dei due fratelli. E quanto più umana ci sembra la vicenda della coppia, alimentata da un’intesa profonda che si è andata cementando con il tempo, tanto più sgradevole e disturbante appare la rissosità bullizzante dei due fratelli.

La coppia francese cura con amore l’orto, osserva compiaciuta e innamorata quella vallata che sarà pian piano profanata da due fratelli con azioni sempre più brutali. 

Dialoghi asciutti, gestiti con una progressione del dramma davvero sorprendente, sono talvolta enfatizzati da una musica che poco concede alla melodia e molto più a ritmi angoscianti e tribali. 

Il film si presta anche a una lettura problematica sull’ambiente, sulla difesa del suo habitat, sulle culture che, invece di aprirsi, prosciugano ogni possibilità di intesa e di reciproco arricchimento. La riflessione riguarda anche il rifiuto da parte dei francesi della costruzione delle pale eoliche, e proprio da questa presa di posizione prende l’avvio il dramma. Perché invece gli spagnoli sono propensi ad accettare, soprattutto per il ricavo economico che il progetto comporterà. Quindi sono proprio i soldi e lo sfruttamento della campagna il vero motore della storia, in grado di attivare un dramma già latente e implicito nel bellissimo e feroce prologo, quello  della marchiatura dei cavalli, simbolo di una natura violata.