Attraversando il bardo (2014). Regia: Franco Battiato. Interpreti principali: Lama Jampa Gelek, Guidalberto Bormolini, Lama Khangser Rinpoche, Lama Monlam, Stanislav Grof, Fabio Marchesi, Manlio Sgalambro.

Né bene né male, la morte è racchiusa qui, nel cerchio della vita, tra il sogno e l’attesa; è il riflesso di un’immagine senza tempo venuta a mescolarsi col ritmo dell’universo. La morte è là dove si ravvisano i segni del divenire e attec­chisce il perdono. Non distogliere lo sguardo dalla morte e dal suo inganno; seguila senza farti domande, così come accetti il profumo di un fiore o l’albeggiare di un fertile mattino.

Chi non cede ai sogni e alla magia della vita non conosce né morte, né realtà, né conforto. Solo dimenticando potrai morire e rinascere. Non cambiare il mondo: diventa morte, e potrai raggiun­gere la tua parte immortale.

Per scoprire il segreto dell’ignoto occorre attraversarlo, arrendersi alla grazia disarmati.

Aperto da una danza di Arlecchino con la Morte, e chiuso dalla voce atona di Alba Rohrwacher che legge una poesia di Karma Nur May, di cui riportiamo un passo in esergo, questo docufilm di Franco Battiato costituisce una riflessione aperta su un argomento tabù nel mondo occidentale.

La morte è medicalizzata, celata da un paravento, occultata agli occhi del mondo. Quando è passata come un soffio freddo di vento, solo allora si celebra la vita di chi ha lasciato il proprio corpo, ricordando le sue creazioni e la sua impronta sulla Terra. Ma prima, poco o tanto che sia, del suo passaggio, siamo muti di parole, precipitati nel crepaccio aperto tra frasi di circostanza e silenzi carichi di timore. Esserci, e basta, ci sembra sempre troppo poco. Vorremmo offrire di più, ma siamo esseri finiti, come la vita che abbandona la persona che amiamo e che abbiamo davanti, e avanziamo a tentoni come chi si è perduto nella notte. Una notte che diventa anche nostra, priva di stelle che offrano un pur minimo punto di riferimento.

Affondati nello sviluppo tecnologico, prigionieri di ego e denaro, abbiamo perso nei secoli la pratica dell’ars moriendi, la preparazione al passaggio. Come per gli antichi greci, così anche per buona parte di noi oggi la morte è l’implosione di ogni senso, la fine del percorso che ci è dato al di là del quale il corpo fisico, il mezzo attraverso cui agiamo nel mondo, smette di funzionare.

Mentre per altre culture è un semplice momento di passaggio cui giungere preparati. Al corpo fisico si affianca quello spirituale, la narrazione della morte è simile a un viaggio nella luce verso un altrove incognito, come quello che affronta l’astronave di 2001 Odissea nello spazio. Dove muore il computer, muore l’astronauta, e dallo spazio siderale emerge un feto, racchiuso in una placenta, un cerchio che lo racchiude, un circolo infinito di rinascite.   

“Tutta l’esperienza che abbiamo da un tempo senza inizio, e continuiamo ad avere, di felicità e sofferenza, è stata creata esclusivamente da noi stessi. Il vero nemico è dentro di noi”,

ci dice un lama tibetano.

Cosa ci lascia di sé Franco Battiato con questa ora di interviste, punteggiate da immagini della Sicilia meno turistica e riflessioni di monaci, viaggiatori astrali, fisici quantistici? Questo documentario liberamente reperibile in rete, semplicemente costruito su domande scritte sul video e risposte raccolte tra Milano, San Francisco, Kathmandu e la sua Milo?

Probabilmente altre domande, da aggiungere a quella basica che tutti ci facciamo: perché la morte? Cosa ci insegna? Come possiamo prepararci a questo incontro? E se il pensarla, anticiparla nelle nostre riflessioni, come fa un saltatore in alto che prima della rincorsa mima il gesto tecnico che gli consentirà di superare l’asticella, potesse servirci a non vederla più come un nemico da nascondere ma una compagna con cui viaggiare? Avrebbero la stessa importanza i successi mondani, i conti in banca, le sfide commerciali, politiche, accademiche, o anche solo le quotidiane diatribe sul lavoro? 

Un altro lama afferma, come Totò, che la morte è livellatrice. E questo pareggio finale di tutte le differenti altezze conseguite (raggiunte, conquistate) nella vita ci può insegnare qualcosa?

Secondo il libro tibetano dei morti il bardo è lo stato mentale dopo la morte e prima della rinascita, quando la coscienza viene separata dal corpo: non è soltanto quello fisico, ma anche un campo di forze, una struttura energetica. E’ un periodo che può arrivare fino a 49 giorni durante il quale l’anima vive dopo la morte, in attesa di trovare un nuovo corpo. In questo frattempo il corpo si fa spirito e la sua consistenza è quella dei sogni, “e nello spazio e nel tempo di un sogno è racchiusa la nostra breve vita” (Shakespeare, La tempesta).

Attraversare il bardo è ciò che sta facendo, nel momento in cui queste parole saranno pubblicate in rete,  l’ideatore e autore delle immagini che abbiamo provato a raccontare sotto forma di domande. Non sappiamo se la terra gli sarà lieve, ma possiamo immaginare che lo sarà la sua anima, racchiusa in ciò che ci ha lasciato tra musica e parole, figlie di un’inestinguibile sete di sapere che si fa vita, ancora, ogni giorno.

Per vedere il documentario completo cliccate in basso oppure a questo link trovate il film completo: https://www.youtube.com/watch?v=8JMkyRUP4WY