Autumn (titolo Originale Sonbahar, Turchia, 2008). Regia: Özcan Alper. Interpreti principali: Onur Saylak, Megi Koboladze, R. Gulefer Yenigul, Serkan Keskin, Nino Lejava.
Attualmente disponibile sulla piattaforma Mubi
Essere pienamente vivi nel nostro mondo così com’è.
Mettersi vicino a coloro per i quali questo mondo è diventato intollerabile e ascoltarli.
L’unico sogno che vale la pena di vivere è vivere finché si è vivi
e morire solo quando si è morti.
Cosa significa esattamente?
Amare. Essere amati.
Non dimenticare mai la propria insignificanza.
Non abituarsi mai alla violenza indicibile
e alla volgare disparità della vita che ci circonda.
Cercare la gioia nei luoghi più tristi,
inseguire la bellezza là dove si nasconde.
Non semplificare mai quello che è complicato
e non complicare quello che è semplice.
Rispettare la forza, mai il potere.
Soprattutto osservare. Sforzarsi di capire.
Non distogliere mai lo sguardo.
E mai, mai dimenticare.
(John Berger)
Cosa rimane quando le speranze giovanili sono state affossate? Quando non ci è stato possibile realizzare il sogno che alimentava le nostre passioni e il presente si rivela un lungo susseguirsi di giornate sempre uguali?
Yusuf ha trascorso gli ultimi dieci anni in un carcere di massima sicurezza turco. Le condizioni della prigionia e il suo sciopero della fame ne hanno minato il corpo al punto che, dopo una diagnosi del medico della prigione che lascia poche speranze, viene rimesso in libertà. Non ha più niente: i compagni di lotta si sono eclissati e le sue forze sono ridotte al minimo. Decide allora di tornare al villaggio dove vive ancora l’anziana madre, un paese di montagna vicino al confine con la Georgia.
Qui trascorrerà giornate sempre uguali in compagnia dell’amico Mikail, che dalla lotta politica è passato al mestiere di falegname ereditando il laboratorio del padre, guardando vecchie cassette VHS che contengono filmati della repressione studentesca, e muovendosi come un fantasma in un paese di gente anziana. Un giorno scende con l’amico nella vicina città sul Mar Nero, dove un cielo di piombo tinge di cupo strade e vetrine, e incontra Eka, una prostituta arrivata dalla vicina Georgia. Come animali feriti riconoscono le rispettive solitudini e si regalano la possibilità di un nuovo percorso, in cui forse poter dare un senso alle proprie esistenze sconfitte. Eka fugge dalla miseria del suo paese e da un matrimonio fallito e cerca all’estero una possibilità per far crescere dignitosamente la propria bambina, rimasta a casa con la madre. Yusuf prova a dare ripetizioni a un bambino del villaggio, per regalare a qualcuno ciò che ha appreso, prima che sia troppo tardi.
Attorno a loro una natura indifferente, maestosa, silente, avvolge vite con poco scopo e molta rabbia.
Al suo secondo lungometraggio, accolto con grande favore da critica e festival, Özcan Alper riesce a parlare di lotta al potere, crollo dell’impero sovietico, questione curda, per vaghi accenni in un delicato equilibrio drammatico che vede il passato sfumare come contorni evanescenti, per mettere al centro della tela ciò che resta di qualcosa: amore, passione voglia di raggiungere la vetta di un monte, frammenti di giorni. Un presente mesto e silenzioso in cui nemmeno l’ultimo amore, così diverso dal primo perché consapevole e prezioso, riesce a dispiegarsi nell’ampiezza di un progetto comune.

Resta quieto, accogliente, inespresso. Non è la mancanza di parole, o dei gesti, a renderlo impossibile, ma il peso di ciascun passato: un gravame troppo oneroso per riscattarlo da un’altra sconfitta lo condanna in una condizione di limbo. C’è ancora spazio per la speranza quando si è scelto di arrendersi? Quando l’accettazione diventa rinuncia, e non invece riconoscimento del proprio dolore attraverso cui costruire qualcosa che possa offrire un nuovo senso alla vita?
Solo apparentemente calligrafico e “da Festival”, questo film sussurra dolcemente alla parte più profonda di noi. Alle modalità che usiamo per reagire a una sportellata in faccia, al tempo che scorre e ci cambia, al Potere che si fa sorte e decide per tutti ciò che bisogna essere. Ci chiede di scegliere tra reagire e lasciarsi andare, tra sperimentare un amore che rischia di farci male e rinunciarvi per il timore di quel male. Inseguire la bellezza dove si nasconde sapendo di doverne affrontare la potenza e accettando la possibilità di venirne travolti.

Prima di ritornare al villaggio dove è nato, Yusuf in piedi in fondo al molo osserva le onde che lo sovrastano e non arretra di un passo, urlando con tutto il fiato che gli rimane. Eka lo guarda da lontano, senza sapere se mai riuscirà a raggiungerlo davvero.
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