Ava (Francia, 2017). Regia: Léa Mysius. Interpreti principali: Noée Abita, Laure Calamy, Juan Cano, Tamara Cano, Carmen Gimenez, Daouda Diakhaté

Estate francese sulla costa atlantica. Oceano schiumoso, vento e caldo. Ava ha 13 anni e mentre dorme sdraiata al sole un cane nero le mangia le patatine che aveva appoggiato sulla pancia. Lei lo vede nel dormiveglia, intontita dal sole e dal caldo, poi si scuote e lo segue.

Ava è in vacanza con la madre Maud e la sorellina di pochi mesi. A seguito di una visita medica scopre che presto con il buio perderà la capacità di vedere, e con il tempo perderà del tutto la vista. E proprio nell’età in cui dovrebbe esplorare il mondo, in una stagione fatta di promesse. L’unica che riceve è dalla madre, che mentre piange disperata per la notizia le promette un’estate bellissima. Ava non si dispera, i suoi grandi occhi neri sono un misto di profondità e distanza da tutto, e comincia a bendarli per sperimentare i limiti che presto incontrerà. E’ seria, compunta, silenziosa, come se una strada troppo grande le facesse perdere le coordinate, e una troppo buia le impedisse di muoversi come desidera. Incontra due ragazzi, uno biondo e rassicurante, e uno scuro e misterioso, forse gitano, forse delinquente.

Sceglie quest’ultimo, il suo cane nero e giornate affrontate senza pensare alle conseguenze. Scappa dalla madre e dalla sorella, minaccia la polizia a cavallo con un fucile, rapina insieme a lui i bagnanti di un campo nudisti, fugge su una moto e finisce in un campo nomadi durante un matrimonio.

Insieme al ragazzo Ava scopre il suo corpo, e attraverso i suoi confini impara a toccare quel mondo che presto le sarà oscurato: non chiede amore, desidera piuttosto viverlo per la potenza del desiderio e la voglia di conoscere ambienti diversi da quello in cui è cresciuta fino a quel momento, quello di una madre insicura e assorbita completamente dalla sua avventura estiva.

I sogni di Ava sono bizzarri ma lucidi e la rabbia nei confronti di una madre-bambina le fanno architettare il peggiore dei dispetti. Ma tutto vola alto sulle sue giornate prive di logica, alla ricerca di un senso che non sia quello comune ma il suo. I corpi nudi dei due ragazzi sono un inno alla libertà, e i vincoli delle convenzioni un semplice ostacolo da abbattere con le armi della fantasia, con nessun domani da ipotecare. La vista di Ava si spegna di notte, ed è lui a guidarla nel suo rifugio, ascoltarla e sostenerla.

Il carro a vela che Ava guida sulla spiaggia normanna è forse il veicolo più adatto alla sua ricerca. Silenzioso, sospinto dal vento che si alza e cambia direzione, insieme ad altri carri che corrono ciascuno con una sua idea di traguardo, ma tutti senza scontrarsi, liberandosi nello spazio accogliendo il vuoto lasciato dagli altri e facendolo proprio.

Seguiamo la strada di Ava solo per un breve tratto, ma è come se fosse tutta una vita, quella in cui non c’è alcun bisogno di pensare e ogni cosa accade semplicemente perché lo desideriamo. Prima dei doveri da seguire, dei diritti da rivendicare, delle noie ordinarie attraverso cui scandire i ritmi di giornate ormai adulte.