Bismillah , Bismillah” : l’amorevole cantilena cantata da Samira è il prendersi cura, l’accudimento.

È stato definito un piccolo grande film quello di Alessandro Grande che ha vinto il premio David di Donatello per il Miglior Cortometraggio nel 2018 dal titolo Bismillah, che segue altre valide produzioni:

“In my prison”, (100 selezioni mondiali e 40 premi) Premio Amnesty International e  Premio Fandango nel 2010, e “Margerita” (80 premi internazionali, nella cinquina finale dei Nastri d’Argento) vincitore Miglior Film all’Ischia Film Festival e Miglior Regia al Ciprus Int. Film Festival, realizzato nel 2013.

Di Bismillah, Alessandro Grande è regista, sceneggiatore e produttore e questo traspare nel corto perché è una storia che nasce intima, senza evidenziare conflittualità o vittimismi in cui è facile cadere quando protagonista è il fenomeno migratorio e le sue conseguenze.

Fantasmi che vivono o sopravvivono nelle nostre comunità, raccontati senza giudizio ma osservando e ascoltando. Infatti questo cortometraggio si osserva e si ascolta, si guarda e si sente. Non è una storia sull’immigrazione ma sui legami.

Quattordici minuti sentimentali: angoscia, paura, coraggio, solidarietà. La protagonista del corto è la famiglia di Samira: lei di dieci anni, il fratello di anni dieci-sette, un papà che non c’è e torna domani, e una mamma assente di cui Samira ne assume il ruolo accudendo il fratello ammalato.

Samira chiede aiuto senza alcun indugio ad Halima, poi al ragazzo vicino di casa che vive una quotidianità di videogiochi, fino ad arrivare al medico indicato da Halima, interpretato con magistrale spontaneità da Francesco Colella.

Bismillah in arabo significa “nel nome di Dio”. È la prima parola del Corano a cui si riferisce anche la frase iniziale. Con questa parola, invocata in un canto, inizia e finisce il corto.

Viene cantata da Samira –  Bismillah , Bismillah  in the name of Allah,  accompagnando molte sequenze. Questa amorevole cantilena sottolinea il prendersi cura, l’accudimento. Tema centrale del cortometraggio. Quella cura e quell’accudimento che si esprime in diverse modalità e supera le appartenenze.

Halima, che si prende cura di una signora italiana, va in soccorso- per dieci minuti- di Jamil dando indicazioni a Samira su cosa deve fare, il ragazzo che abita nel suo stesso pianerottolo che le presta il telefono e il dottor Francesco che, sulle forze, si interessa della vita di Samira e le presta soccorso.

È il passaggio dalla cura come accudimento alla cura come soccorso: Samira cura il fratello con la canzone, poi passa all’azione. Lo stesso circuito si ripropone sul finale quando il medico provvede a curare Jamil.

La ragazzina ascolta, mimando qualcosa tra le labbra, forse il ritornello Bismillah, e inizia a cantare come a ringraziare il dott. Francesco. Jamil risponde, per la prima volta, al canto, come a ringraziare Samira, a sottolineare il legame, la fratellanza, l’approvazione, la salvezza.

È dunque l’angoscia dell’impotenza, insieme alla paura del pericolo, mediante il coraggio proattivo  e la solidarietà senza colore che “nel nome di Dio” si narra, in  quattordici minuti,  la vita dei fantasmi accanto a noi. Un piccolo grande film.

Potete vedere il corto a questo indirizzo: https://www.rai.it/raicinema/video/2019/01/Bismillah-e1675ab2-dcef-4cd3-b63a-2fd918896323.html