Pasolini, Freud e l’Esistenzialismo del ‘900

Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia” dalla poesia “Supplica a mia madre” di Pier Paolo Pasolini

l’abisso in cui mi spingi è dentro di te” Sfinge ad Edipo

Pasolini adorava la madre, Susanna Colussi. Hanno convissuto insieme, a Roma, fino al suo assassinio nel 1975, dopo aver abbandonato Casarsa, loro due soli, su un treno che li portò nella Capitale il 28 gennaio 1950.

Non era solo suprema adorazione. Per lui rappresentava la sorgente, l’origine di ogni cosa. Per tutta la sua esistenza ha sublimato la figura della mamma. Tanto è vero che in una delle sue opere cinematografiche più belle, “Il Vangelo secondo Matteo”, il personaggio della Madre di Cristo anziana viene interpretato proprio da Susanna Colussi.

E così Pasolini assolveva ad una sua intima esigenza: mostrare il dolore della madre morente di fronte al figlio ucciso.

Lei, che aveva già perduto, tragicamente, l’unico altro figlio, fratello di Pier Paolo, ucciso da coloro che si credevano alleati, in giovanissima età. La storia si ripete.

Conflittuale, invece, per motivi caratteriali, ideologici, era il rapporto nei confronti del padre di Pier Paolo, Carlo Alberto.

Questa premessa ci introduce, non solo sul piano contenutistico, ma anche narrativo, all’Edipo Re di Pasolini, il quale conferma l’utilizzo del Mito (come farà con “Medea”) come metafora delle dinamiche umane. Ma nell’opera di Pasolini il mito dell’Edipo sofocleo è quello rielaborato da Sigmund Freud che vede nel doppio rapporto bilaterale figlio-padre e figlio-madre, ed in particolare nella modulazione del processo di identificazione del bambino con il genitore dello stesso sesso negli anni dell’infanzia, il fondamento strutturale dello sviluppo del bambino medesimo.

La rielaborazione della tragedia di Sofocle sotto le vesti del complesso di Edipo, è subito evidente nel prologo, il quale, come l’epilogo, a differenza del resto del film, si ambienta nei tempi e nei luoghi cari al poeta friuliano.Nel prologo Pasolini ci porta nei prati di Casarsa con un bimbo (Lui) in fasce, la tenera madre, ed il padre, ufficiale dell’esercito, che vede (e lo dice nella scena) nel bambino colui che strapperà il suo amore nei confronti della moglie-madre.

E l’epilogo, dove un Edipo (Franco Citti) accecato da sè medesimo, erra prima nelle strade e piazze di Bologna (dove Pasolini è nato ed ha ricevuto la prima formazione culturale ed intellettuale) e poi in quegli stessi prati presenti all’inizio del film, simboleggiando così la circolarità necessaria, l’alfa e l’omega, dell’esistenza umana.

E la narrazione del mito? Questo è il resto del film, la parte mediana tra i due estremi, ove vengono ripercorsi i fondamentali canoni della tragedia di Sofocle, pur nella differenza sostanziale delle due opere.In primo luogo la fondamentale differenza tra la tragedia storica ed il modello psicoanalitico di Freud.

Edipo non è a conoscenza che la persona che ucciderà, Lao, re di Tebe, è suo padre; né tanto meno che la donna con cui si congiungerà carnalmente è sua madre Giocasta (Silvana Mangano). La Sfinge gli indica quello che gli accadrà, non con chi. Questo è un punto fondamentale.E’ il destino avverso che ha deciso per Edipo.

Invece, nel complesso freudiano l’odio nei confronti del padre rivale, ed il desiderio incestuoso nei confronti della madre quale sostituto del padre, non sono per il bambino “sconosciuti”. Per questo la castrazione simbolica, cioè il divieto del rapporto incestuoso con la madre viene considerato il primo ingresso del bambino nell’ordine dell’umanità. La prima Legge, quella senza la quale non esisterebbero le altre Leggi.

Questa differenza, pertanto, è essenziale, anche perchè prodromica ad un elemento successivo: la lenta ma progressiva consapevolezza dei due orrori commessi da parte di Edipo e della madre Giocasta, ed il concomitante tentativo del primo di non voler far riemergere la verità. Di non voler coinvolgere sé stesso in questa ricerca, pur desiderando scoprirla. Almeno fino a quando si paleserà in tutta la sua evidenza.

Qui l’elemento autobiografico, cioè l’identificazione Pasolini-Edipo è evidente, alla pari della lezione esistenzialista (Sartre, Heidegger) della prima metà del Novecento.Il destino iniziale non è deciso dall’uomo, ne è predestinato, ma è effetto della “gettatezza”, dell’esposizione che ognuno di noi ha nel momento della nascita. Esattamente, ma a differenza di Edipo, come l’omosessualità di Pasolini, situazione che accetta, che sente come sua, ma che lo fa soffrire.In piena solitudine.

In questo senso vanno intese le parole “orrendo conoscere“, riferito al suo status contenute nella struggente poesia “Supplica alla madre” del 1962, Ma in ogni caso Pasolini è intenzionato, come Edipo, fortemente, inesorabilmente, a conoscere la verità, ad andare avanti, anche quando capisce che questa lo può traumatizzare, ed anche se Lui non ha influito, condizionato, il sorgere della medesima.

E’ la sua intelligenza, la forza di volontà, l’avversione rabbiosa, il suo spirito che lo porta ad affrontare ogni ostacolo, che lo spinge a comprendere come la diversità non rappresenti un male, ma al contrario una opportunità.

E poi, per concludere, la cecità. La punizione per non aver visto pur potendo vedere. Una metafora, sicuramente, nel momento che nell’epilogo l’Edipo-Pasolini cieco si fa accompagnare, errando, nei posti della sua infanzia e giovinezza, quindi nel ‘900. Attualizzando questa sua criticità intende, con forza, rimarcare quella passività dell’uomo moderno di fronte ad una società dei consumi oramai fagocitante.Capolavoro.