LA TERRA VISTA DALLA LUNA (1967)
“Morale: essere vivi o essere morti è la stessa cosa” (Pier Paolo Pasolini)
“La Terra vista dalla Luna” è uno dei cinque episodi del film “Le streghe”, girati da autori del calibro di De Sica, Visconti, Bolognini, Rosi ed, appunto, Pasolini.
Non è solo una favola surreale, visionaria, ma è anche la più poetica, cinematograficamente parlando, dello scrittore bolognese.
Tutto il contenuto dell’opera è visto da una prospettiva non terrena, ma lunare, quindi eterea. Eterei sono infatti i colori, accesissimi, astrusi, sia dei vestiti che dei trucchi.Visionari i nomi, grotteschi: Ciancicato Miao (Totò), Baciù (Ninetto Davoli) il figlio, Crisantema, la madre morta, Assurdina (SIlvana Mangano), la nuova moglie.
Sono “osservate” dalla luna anche le dinamiche sceniche dei tre interpreti, ambientate in una baraccopoli, dove il sordomutismo di Assurdina dà luogo a siparietti dolci, umoristici, volutamente chapliniani.
Ma questa visionarietà si blocca di fronte al teatro degli eventi, cioè le baracche della periferia romana che erano state la scenografia dei primi tragici film neorealisti di Pasolini.
Il nuovo modello sociale ed economico degli anni ’60 si fonde con l’ideale grottesco ma amaro di Ciancicato e Baciù di formare una famiglia, i colori si mischiano con la miseria dei luoghi. Chiarissimo l’intento di Pasolini di voler rappresentare quella società dei consumi del boom economcio come eccentrica, volgare, fonte di quel mutamento antropologico spesso denunciato.Pertanto è un mondo illusorio ma contestualmente reale. E tragico.
E qui che si inserisce il pessimismo di Pasolini nel riaffermare l’equivalenza della vita e della morte.L’incidente mortale di Assurdina, cadendo dall’alto del Colosseo su una buccia di banana e la successiva apparizione del suo fantasma nella baracca, sono la prova che effettivamente la vita, per chi nasce e sopravvive in condizioni miserevoli, è una parentesi onirica, e che quindi l’ineluttabilità del destino nei due momenti topici dell’inizio e della fine, unico artefice della nostra presenza terrena che prescinde da dinamiche volontaristiche, ha il potere di equiparare la vita e la morte in una unica dimensione esistenziale.
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