PORCILE (1969)

“Non è la ribellione stessa che è nobile, ma quello che esige” da L’uomo in Rivolta” di Albert Camus (1951)

Nel 1951 fu pubblicato in Francia un saggio filosofico di Albert Camus, “L’Uomo in Rivolta”. Il libro suscitò moltissime critiche, sancendo anche la rottura, politica e personale, di Camus con Jean Paul Sartre.

Perché? Il nucleo centrale dell’opera è rappresentato dalla dottissima ed elaborata ricostruzione storica dei modelli di “rivoluzione” e “rivolta”, attraverso la quale lo scrittore algerino perviene ad un duplice giudizio di valore: negativo per il primo, positivo per il secondo.

Secondo Camus la storia avrebbe dimostrato come le rivoluzioni, pur ambendo ad obiettivi di uguaglianza e giustizia universalmente ed astrattamente validi, hanno tradito spesso le aspettative di chi credeva in questi principi, facendo precipitare i rivoltosi nel medesimo oscurantismo dei regimi che avevano provocato la ribellione (paradossalmente, sul piano etimologico, rivoluzione sta a significare “ritorno”).

Completamente opposto è il giudizio sulla rivolta, alla quale Camus non gli conferisce un contenuto collettivo, massivo, ma al contrario individuale, “trascendentale” da uomo a uomo. La rivolta, per Camus, è una opposizione personale, singola, un moto del proprio spirito verso ogni forma di oppressione, ingiustizia – oltre a rappresentare una parte della propria essenza -: “io mi rivolto quindi sono” scriverà nel libro.

Porcile, di Pier Paolo Pasolini, è un film sulla rivolta.Individuale, singolare, di figli contro i padri, padri assunti a simboli del sistema.L’autore narra di due vicende diversamente circoscritte sul piano temporale e geografico.La prima, quella narrata anche nel libro, riguarda la storia di Julian (Jean Pierre Leaud), figlio di una ricca famiglia borghese tedesca del dopoguerra (la quale, secondo Pasolini, come avvenuto nell’esperienza italiana, rappresentava una continuazione di quella nazista sul piano capitalistico-industriale) il quale, oltre ad essere un soggetto remissivo, apatico, passivo, lontano dalle ambizioni dei geniori, non riesce ad intraprendere un normale rapporto affettivo con una ragazza, Ida (Anne Wiazemsky), in quanto nasconde un perversione che non “può” confessare: avere rapporti anali con i maiali.

Il suo stato socio-affettivo tende sempre a peggiorare, esaspera la sua naturale tendenza abulica, indolente, nei confronti della società esterna e della classe sociale di appartenenza (“non consenziente, né dissenziente” dirà la madre), si isola nei confronti del mondo esterno, beffeggia le ipocrisie sociali (bello il dialogo tra Julian e Ida, borghese come lui, che va a inscenare manifestazioni di protesta), fino addirittura ad entrare in uno stato di trance e restare impassibile a letto.Una serie di comportamenti, atteggiamenti, dialoghi, reticenze, silenzi che sostanziano, nel loro complesso, un unico moto: una rivolta individuale. Fino a che un giorno, dopo che Julian cerca di far capire ad Ida (altra bellissima scena) che l’amore che Lui prova non può essere spiegato, e che pertanto si dovranno lasciare, va nel porcile e lì viene divorato dagli stessi maiali.

Storia parallela (quella non presente nel libro). Siamo nel 600, in una natura arida, brulla, cruda, ridotta all’essenziale (Etna), una non-natura, vengono rappresentate le gesta (Pierrè Clementì) di un ragazzo solitario che si nutre di animali, radici, erba per poi passare, per fame, alla carne umana.Ma verrà scoperto dagli abitanti di un villaggio, catturato e sbranato da cani randagi.La rivolta? Si condensa nell’unica frase presente in tutto il racconto, completamente illustrativo e privo di dialoghi, che Clementì ripeterà tre volte, prima di morire, mentre lo legano: “Ho ucciso mio padre, mangiato carne umana, ma tremo di gioia”.

Zoofilia e Cannibalismo. In ogni caso i due rivoltosi muoiono. Azioni Individuali, spontanee, di ribellione, di pieno anticonformismo, ma in ogni caso estreme, disturbanti, provocatorie. Ma è accettabile la violenza? No. La rivolta, la necessità intima, bruciante, incontenibile, di esteriorizzare la propria avversione al sistema, secondo la teorizzazione di Camus, ha due estremi: l’omicidio ed il suicidio.Ma Camus, nel suo libro, non ammette, rigetta ambedue, scorgendo invece nella solidarietà la strada maestra di sfogo dei moti individuali. Quella trascendenza orizzontale di cui parlava.

Allora? Chiarito l’obiettivo, cosa è Porcile? Sicuramente una metafora. L’utilizzo della macchina da presa è per Pasolini una forma di linguaggio, una costante in quasi tutti i suoi film.Mangiare ed essere mangiati. Non è la prima volta che avviene nelle sue opere, è già successo con il corvo in Uccellacci, Uccellini…avverrà ancora (anche se con diverso significato) in Salò con le scene di coprofagia. Quindi il sistema che elimina, divorando, fagocitando, i suoi figli rivoltosi (come del resto scritto nella I^ lapide all’inizio del film).Il Potere non ammette avversari, anche se fossero i propri figli. E, con riferimento all’episodio ambientato in Germania, l’allegoria di un porcile, dove maiali sono anche coloro che hanno costruito, adattandolo ai propri cinici obiettivi, quel sistema.

L’opera, pertanto, è volutamente improntata, simbolicamente, ad una duplice rappresentazione sulla rivolta individuale contro il potere perché la storia personale di Pasolini è una storia di rivolta, come del resto quella di Camus, e non di rivoluzione.Il grande intuito di queste due menti eccelse del secolo scorso è di aver percepito il carattere omologante, assorbente, repressivo delle storiche rivoluzioni di massa, in particolari (ma non solo) quelle del ‘900, sospinte da grandissimi ideali ma terminatesi con terrificanti orrori. E lo spirito di rivolta di Pasolini concerne anche il sospetto su quelle forme di rivolta collettiva, come quelle borghesi, che apparentemente sembrano aspirare al raggiungimento di ideali di solidarietà e di giustizia, ma in realtà, proprio per la natura che li alimenta, tradiscono i medesimi obiettivi (emblematico è la lettera “PCI ai giovani” del 1968 sui fatti di Villa Giulia).