Chleb i sòl (Bread and salt) (Polonia, UK, 2022). Regia: Damian Kocur. Interpreti principali: Tymoteusz Bies, Jacek Bies, Dawid Piejko, Nikola Raczko, Nadim Suleiman, Nadeem Shalave, Bartosz Olewinski, Malgorzata Puzio, Wojciech Walkiewicz

Il film ha vinto il premio speciale della giuria Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia: forse perché racconta, attraverso un microcosmo da noi lontano, una vicenda universale di intolleranza e di occasioni sprecate, di ignoranza e di chiusura.

Non sono le nostre latitudini, ma l’estate lo stesso avvolge con una calura pigra il piccolo paese polacco dove si svolge la vicenda. Gli esami sono finiti, il mare lontano, e un gruppo di amici si ritrova a passare lunghe ore insieme, seduti su una panchina, andando al luna park o mangiando qualcosa in un kebab che ha aperto da poco. Tymek studia piano a Varsavia, è tornato al paese per l’estate ma ripartirà in autunno per andare a un conservatorio in Germania con una borsa di studio. Suo fratello invece non ce l’ha fatta: pur avendo talento non si è impegnato abbastanza e ora non sa bene cosa fare della sua vita. La madre è distante, la cameretta di casa dove si è sistemato è quella di quando era adolescente. Una ragazza mostra interesse per lui, ascolta la sua musica, ma Tymek non sa se vuole conoscerla meglio; non sa nemmeno se insistere con il fratello, che aveva talento per la musica ma poca voglia di studiarla, per convincerlo ad impegnarsi di più. Pur frequentando il gruppo dei vecchi amici, lo fa come in sordina, è fisicamente presente ma lo sente lontano: fumo e birra, fulcro delle giornate del gruppo, non lo interessano, e conversazioni fatte di noia da riempire con sensazioni forti non sono ciò che sta cercando.

Se Tymek parla la lingua e la delicatezza di Chopin, gli altri improvvisano rap freestyle usando come base i loro cellulari, con testi densi di rabbia. Sempre musica, ma che parte da radici e conduce a strade diverse. Tra tutti i componenti del gruppo è l’unico che prova a stabilire un contatto con i due ragazzi arabi che lavorano nel bar dove si serve kebab, e che diventa il loro luogo d’incontro abituale. Pane e sale sono il tratto comune delle due culture: in Polonia offrirlo è un gesto di benvenuto, nei paesi arabi di ospitalità allo straniero. Ma Tymek è un’eccezione: pur essendo coetanei dei ragazzi del paese, i due arabi sono bersagliati da richieste arroganti e devono affrontare quotidianamente gesti privi di rispetto, sia nel bar che fuori. La tensione cresce, i muri reciproci si alzano, e parlarsi e ascoltarsi diventa così impossibile. Un giorno la situazione precipiterà, come in tante altre storie, e lo farà in modo irreversibile.

Ispirato a fatti realmente accaduti qualche anno fa in piccolo paese della provincia polacca, il film viene costruito dal giovane regista per dicotomie: dialogo contro insulti, musica classica opposta a rap, costruzione di un progetto di vita contro derive esistenziali prive di idee e speranze. Mentre la noia di Moravia nasceva comunque da una serie di fallimenti (il conflitto con la madre, l’espressione artistica come rifugio, l’amore come possesso di un corpo), quella dei giovani polacchi protagonisti di questa vicenda prende le mosse da un vuoto etico che evita ogni accenno di riscatto. Musica ossessiva, sproloqui disfattisti, nichilismo come faro spento di giornate infinite. La madre è assente, impossibile litigarci e quindi affrontare un conflitto. E’ un ritorno a casa che prevede solamente un’attesa vuota, prima di tornare a fare musica lontano da qui.

Una delle principali funzioni del cinema è di denunciare i malesseri della società, anche attraverso storie comuni che prendono strade inaspettate. Damian Kocur con il suo film a basso budget, un gruppo di attori non professionisti e un crescendo drammaturgico che procede inarrestabile verso la tragedia finale, apre uno squarcio di realtà dietro le quinte degli articoli di cronaca, della propaganda, dei giudizi che tendono solamente a dimostrare la ragione delle proprie tesi.