Comandante (Italia, 2023). Regia: Edoardo De Angelis. Interpreti principali: Pierfrancesco Favino, Massimiliano Rossi, Johan Heldenbergh, Arturo Muselli, Silvia D’Amico, Giuseppe Brunetti, Gianluca Di Gennaro, Johannes Wirix

Il film che ha aperto la Mostra del Cinema di Venezia racconta una storia vera, un episodio di guerra, con la potenza di una grande produzione, una buona scrittura scenica, la straordinaria interpretazione del protagonista e una retorica che resta fuori dal film per quasi tutto il tempo. La storia è quella del sommergibile Cappellini, che nel settembre del 1940 lascia il porto di La Spezia per una missione di guerra. A bordo il comandante Salvatore Todaro, che è stato costretto da un incidente a indossare un busto fatto di cinture; un vice, più anziano, con cui ha già svolto altre missioni; e una serie di sommergibilisti raccolti attorno a uno scafo della Regia Marina non esattamente all’avanguardia per attrezzature e costruzione.

Todaro riluce di un’aura quasi mistica: prima di partire per la missione lascia a terra un marinaio, che qualche giorno dopo sarebbe stato colto da una peritonite e se fosse stato in mare sarebbe senz’altro morto; rifiuta la morfina per combattere i dolori alla colonna vertebrale, preferendole lo yoga; con l’equipaggio alterna il piglio del condottiero all’affetto del buon padre. Durante la missione perde due uomini: uno che si è offerto di uscire dallo scafo, con una scorta d’aria di pochi minuti, per recidere i cavi delle mine di profondità che gli impedivano di attraversare lo Stretto di Gibilterra; e un altro colpito dal fuoco di una nave nemica. Ma l’equipaggio è con lui, anche quando decide di colpire una nave mercantile belga, e quindi in quella fase del conflitto ancora neutrale. La nave nemica colerà a picco e Todaro, contravvenendo alle regole di guerra ma seguendo la legge del mare, farà di tutto per metterne in salvo l’equipaggio, fino a issarlo a bordo e farlo convivere in spazi strettissimi con i propri uomini, in attesa di sbarcarlo su un’isola delle Azzorre.

Il fascismo è toccato solo di striscio (un mezzo riferimento a inizio film e poco altro), appare solo nelle acconciature delle donne lasciate sulla terraferma da soldati che sanno di andare a morire; negli interni del sommergibile, nelle scarne scenografie d’interni. La donna del comandante è a casa, lui le scrive ogni volta che accade qualcosa, ma sono lettere che nessuno riuscirà a recapitarle. La vediamo di schiena mentre suona il piano, mentre le libere associazioni come onde cullano questa coppia in attesa di una bambina. Frasi lasciate fluire sulla guerra, sulle sue vedove, sull’amore e sul desiderio, parole che fanno da contrappunto a un mondo di rigore, ordine e disciplina, a canzoni militaresche impregnate di eroismo immaginato: “Taciti ed invisibili, partono i sommergibili! Cuori e motori d’assaltatori contro l’immensità”.

L’impressione che si ricava è quella di un kolossal rimasto a metà. Ottimo nelle intenzioni, ma quando il marinaio cuciniere inizia a declinare i piatti che conosce da buon napoletano, e l’equipaggio intona “O surdato nnamurato” il piano inclinato dell’ “Italiani brava gente” inizia a mostrare pericolosamente stereotipi inossidabili. La frase finale del capitano, quella che chiude il film spiegando al pari grado belga i motivi della scelta di salvare l’equipaggio nemico, conferma lo scarrocciamento retorico che per tutta la prima parte del film era stato evitato. Per carità, dire che sono stati salvati “Perché noi siamo italiani” fa è probabilmente parte del personaggio del capitano e della realtà storica. Ma è come se ancora una volta il nostro cinema, pur con ampi mezzi a disposizione, non avesse voluto rischiare di andare oltre le solite barriere che ha costruito, all’interno delle quali si rimira, e che con il tempo gli stanno accorciando il respiro che in un passato sempre più lontano è stato ampio, capace di prendersi rischi e di affascinare gli spettatori di tutto il mondo.