Come due coccodrilli (Italia, Francia, UK, 1994). Regia: Giacomo Campiotti. Interpreti principali: Fabrizio Bentivoglio, Giancarlo Giannini, Valeria Golino, Sandrine Dumas, Ignazio Oliva, Angela Baraldi, Alessandro Di Natale, Sergio Parini

Gabriele Fraschini è un uomo di successo: esperto antiquario e responsabile di una prestigiosa casa d’aste, vive a Parigi in una casa lussuosa, ha una relazione con una sua collaboratrice e la sua vita sembra perfetta. L’infanzia, invece, è un ricordo lontano: sua madre Marta – donna segreta dell’imprenditore Pietro Fraschini – morì di parto dando alla luce Martino, il fratello minore. Pietro, il padre, non potè fare altro che portare in seno alla famiglia “ufficiale”, con la quale aveva già altri due bambini, i due figli di Marta. Ma nella grande casa sul lago l’odio dei fratellastri per gli intrusi, in particolare per Gabriele, non tardò a manifestarsi, acuito anche dalle scelte del padre: resosi infatti conto dell’interesse e del talento di Gabriele per il vetro, con il tempo lo aveva designato come suo successore nella conduzione della fabbrica di famiglia, una vetreria specializzata nella fabbricazione di oggetti di grande pregio.
Il giorno in cui Gabriele scopre in vendita, sul catalogo di un’asta in Italia, un vaso romano di proprietà della sua famiglia, sa che è un falso; fu infatti lui a forgiarlo quando lavorava in fabbrica.

Torna così a Varenna per consumare una vendetta a lungo accarezzata. Una volta giunto sul posto scopre una fabbrica abbandonata e invasa dalle erbacce, la villa di famiglia quasi tutta ipotecata e i fratellastri, ormai adulti, che vivono nella piccola porzione rimasta a loro disposizione insieme alle rispettive famiglie.
Ci sono film che colpiscono per un particolare. In questo una semplice scena racchiude tutta una vita: è un’epifania, un punto di svolta che improvvisamente illumina la scena e fa ruotare gli assi della realtà del protagonista. Gabriele infatti è rimasto incastrato nei traumi subiti da piccolo: la morte della madre, il trasferimento dalla casa dove era cresciuto alla villa del padre, una nuova famiglia che gli è ostile, un fratello appena nato di cui prendersi cura. La vita di Parigi, un lavoro di prestigio, una fidanzata affascinante, una vita agiata, in mezzo alla bellezza, nulla è stato sufficiente per fargli recuperare la gioia di vivere. L’ultimo rifugio è una vendetta che vuole consumare per riparare quel torto lontano, e che lo spinge a truccare le carte pur di mettere in difficoltà una famiglia che non lo aveva mai accolto: a causa loro si era sentito un falso, e ora sarebbe stato il falso vaso a evidenziare chi, tra loro, aveva giocato sporco.
Capitato per caso nei pochi ambienti abitabili dell’antica villa, Gabriele capisce. Vede i panni stesi in salotto, casse accatastate, stanze piccole e fredde. Ma anche bambini che ridono e giocano a palla, le voci di famiglie povere ma vive, pronte a cambiare ancora, a trovare altre strade, soluzioni, idee. Gabriele li vede e capisce che le loro vite sono andate avanti. Il pesce nella boccia apparso nella prima scena in realtà è lui: chiuso in un mondo autosufficiente, privo di rischi, senza contatti con l’esterno. La vita fuori esiste, lui lo sa, la vede, ma non la tocca.

Declinato in tre momenti (il passato remoto, in bianco e nero: una madre amatissima e un padre affettuoso ma sempre assente; il passato prossimo: la fanciullezza nella villa, lo sbocciare del suo talento e l’ostilità dei fratelli; e il presente, con il ritorno a Varenna per chiudere il cerchio), è un film che parla di amori mancati, sempre attesi e mai vissuti fino in fondo, come quello del padre, che a modo suo Gabriele riproduce con la sua donna, in una distanza non più fisica ma affettiva. Ma anche di amori vissuti, spettinati, imperfetti, ma capaci di declinarsi nella quotidianità sbreccata del mondo reale. In quella frattura tra passato e presente Gabriele ritroverà una persona che credeva di aver perso e se ne andrà con la consapevolezza di poter ricominciare a vivere. “Noi siamo forti come due coccodrilli”, è uno dei pochi ricordi che ha della mamma. Con quella frase, ispirata alla canzone dei due liocorni, Marta lo sapeva rassicurare ad ogni partenza del padre, dicendogli che erano una squadra e si sarebbero protetti per sempre.