LA TRILOGIA DEL SILENZIO DI DIO (1) DI INGMAR BERGMAN

“La nevrosi sostituisce nella nostra epoca il convento nel quale solevano ritirarsi tutte le persone che la vita aveva deluso o che si sentivano troppo deboli per affrontarla” Sigmund Freud

COME IN UNO SPECCHIO (1961) di INGMAR BERGMAN

Questa riflessione terribilmente profetica, visionaria, enunciata da Freud in un seminario in America nel 1909, pone in simbiotico ed interdipendente rapporto tre elementi: un disagio psichico, un luogo fisico sostitutivo di stampo esclusivamente religioso, ed infine la causa di questa sostituzione simbolica: delusione della vita o difficoltà delle persone ad affrontarla.

Dio e i suoi riti non riescono più a canalizzare , neanche fisicamente, i dubbi dell’uomo. E questa condizione, protetta nei secoli precedenti da un intimo misticismo, viene sostituita da uno stato mentale. Questo è il dramma che i grandi scrittori e filosofi della fine dell’800 e degli inizi del 900 hanno toccato con mano e gridato, invano, all’umanità. Questo è anche il dilemma che Ingmar Bergman fa proprio con questo primo atto di tre opere con le quali pone al mondo intero il problema cruciale, non risolto, anzi aggravato dal suo tempo, del rapporto uomo-Dio.

Non c’è dialogo, non si riesce più a sentirLo nelle nostre richieste, negli atroci dubbi che confliggono con una realtà incompresa. Si resta soli. Con la nostra mente: anzi, all’interno di essa.Come sola è Karin, affetta da pregressi problemi psichici, malgrado gli affetti da cui è circondata: il marito Martin, il padre David ed il fratello Minus. I loro rapporti sono improntati ad un convenzionale formalismo, ben espresso nelle scarne scene gioiose conviviali, nei pacchetti di regalo aperti ma forse non graditi. E l’apparenza, come sappiamo, non può essere sempre dissimulata.

Comportamenti e segreti svelati che evidenziano, nei drammatici dialoghi, l’egoismo ed il fastidio di rapporti che si mantengono vivi ma in che realtà si vorrebbero recidere, come reciso è il mondo esterno rispetto all’isoletta dove si sviluppa tutto il film di Bergman. L’incomunicabilità impera. Karin non sente l’affetto che vorrebbe, ma che soprattutto avrebbe bisogno da Martin, anch’esso vittima di dubbi; il padre David “sfrutta” i disagi di Karin come caso professionale per le sue opere, e la scoperta da parte di Karin di questo tradimento è sofferenza pura. Minus è anch’esso interdetto da una generale incomprensione della vita, e neanche il morboso affetto che Karin nutre nei suoi confronti riesce a superare.

E quando, tra le sue visioni, Karin vede Dio raffigurato come un ragno, decide, autonomamente ed inevitabilmente, di ritornare nell’ospedale psichiatrico.Karin rappresenta l’emblema di quel secolo assurto già a dramma individuale. E collettivo. Karin non ha il vuoto davanti a sé come Anna nel “Il Silenzio”, la disperata terza parte della trilogia Bergmaniana. Nelle molteplici fasi lucide del film Karin è una donna felice, anche se dubbiosa, che spererebbe nell’affetto delle persone a sé care per far riemergere quella “forma” sublime di Dio che non riesce più a scorgere. Oppure che è costretta a vedere solo attraverso la sua malattia.

Perché questo è il nucleo, il messaggio dell’opera.

Devo forse essere sopraffatto dalla follia per vedere un Dio negato dalla mia solitudine? Non è forse l’amore, offerto e ricevuto, il più alto e potente legame in terra tra mè e quella divinità superiore ed invisibile che almeno mi fa sperare che la mia misera essenza, fondata sulla non decisione di nascere e morire, abbia avuto un senso, che la mia anima possa almeno sopravvivere?Il film, questo, finisce con un augurio: il dialogo bellissimo tra padre e figlio attraverso il quale il primo gli chiede di continuare a sperare. Ma per Karin rimarrà solo la “visione” di un Dio a forma di ragno, insieme a tutti quei dubbi che ogni spettatore vede nell’altro, appunto, come in uno specchio.

13Franca Forlone, Angela Albertini e altri 11Commenti: 3Mi piaceCommenta