Quando la malattia irrompe tutto cambia… Una storia lieve che mostra debolezze e fragilità dell’essere umano e tanta voglia di vita.
L’ultimo film diretto e sceneggiato da Francesco Bruni, che vede come protagonista Bruno Salvati, una sorta di alter-ego del regista attraverso il quale raccontare il proprio incontro con la mielodisplasia.
La scena iniziale in cui il protagonista Bruno Salvati dialoga per la prima volta con la dott.ssa Paola Bonetti, Primario del reparto di Ematologia, ben rappresenta il clima emotivo dell’intero film nel quale si incontra la malattia, la paura della morte e della perdita, contrastata da grandi slanci vitali fatti di ironia, coraggio, amore e fiducia.
Da questa prima visita s’insinua l’incertezza nella vita di Bruno e in quella dei suoi familiari che gradualmente conosciamo sullo schermo.
La diagnosi purtroppo è di mielodisplasia, una forma di leucemia che vede come unica speranza quella di trovare un donatore compatibile di cellule staminali. Prima nella cerchia familiare, poi attingendo ad un elenco internazionale di donatori.
La vicenda sembra arrivare in un periodo di particolare instabilità del protagonista: un recente divorzio con la moglie, i figli Adele e Tito adolescenti con i quali non è sempre facile entrare in relazione, una carriera da regista in stallo ed un padre fortemente centrato su di sé.
Scena dopo scena, il ‘cosa sarà’ diventa come un mantra nelle teste dei personaggi ed in quelle degli spettatori, inizia per tutti un percorso in bilico in cui si può solo porre un piede dinanzi all’altro come sul bordo di un cornicione.
La malattia e lo spettro della morte impattano all’improvviso sulle vite di Bruno e dei suoi familiari, costringendo tutti ad uno scossone inaspettato, che però fa emergere come un magma rivitalizzante, un potere trasformativo, un percorso di rinascita, che cambierà i loro rapporti.
Gli uomini di famiglia Salvati, fragili e delicati, accuditi e accompagnati da donne che appaiono emotivamente più competenti, imparano ad esternare con maggiore coraggio la loro emotività, a stare in quell’adesso instabile, affidandosi e fidandosi, ritrovandosi capaci di stare sulle proprie gambe, in poppa alla vita guardando a testa alta quell’incertezza. Le donne dipinte come forti, indipendenti, che “hanno sempre ragione”, che, probabilmente per impronta culturale, si rivelano più pronte ad affrontare le debolezze e le fragilità messe a nudo dalla malattia; che però “non sono perfette” e rischiano di restare intrappolate in quel ruolo di forti e responsabili; lo rivelano bene le tinte emotive e le parole che la figlia Adele esterna al padre sul balcone … “Io voglio piangere, arrabbiarmi, fare storie … E se muori sei uno stronzo!”.
Purtroppo, i primi donatori individuati risultano incompatibili; il padre di Bruno a questo punto si trova costretto a svelare un segreto inatteso. Si aggiunge così un elemento narrativo che movimenta la storia e conduce nella splendida cornice di Livorno, per incontrare Fiorella, la sorella di Bruno, avuta da un’avventura clandestina del padre, fino ad allora tenuta ben celata. S’intravede quindi come quell’uomo egocentrico in realtà, in modo goffo ed impacciato, abbia sempre cercato di manifestare il suo amore verso i figli.
La scena tra il protagonista e la ex-moglie di una quotidiana routine di igiene personale a mio avviso mostra un’umanità sorprendente: da un lato l’uso dell’ironia ancora una volta rimarca la fatica, il disagio di non essere più padroni della propria esistenza, mettendo a nudo la fragilità di ogni essere umano. Dall’altro l’amorevolezza della donna consente di lasciarsi andare, di affidarsi alle mani di chi si sa prendere cura di noi, in un accudimento in tutto e per tutto.
Altre carezze che aiutano il protagonista a risollevarsi dalla dura sfida che la vita gli sta ponendo dinanzi, arrivano dal premuroso e attento infermiere, capace di svolgere il proprio lavoro di cura in maniera professionale e profondamente umana.
Il film si sviluppa in un crescendo in cui la paura della morte si fa sempre più ingombrante, ma che viene continuamente contrastata da grandi slanci vitali, uno scontro perfettamente racchiuso nelle parole pronunciate da Bruno Salvati: “Ho paura… ma io col cazzo che muoio!”
Un film che tiene in bilico tra la paura della morte e la voglia di vita, che parla di famiglia con i suoi inceppamenti ma sempre vitale ed in grado di riattivarsi; un film che ti lascia con gli occhi lucidi, il cuore espanso e gli angoli della bocca all’insù.
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