In questo articolo troverete la recensione del film Creed II, diretto da Steven Caple Jr., cast Michael B. Jordan, Sylvester Stallone e Tessa Thompson. La pellicola distribuita dalla Warners Bros è il sequel del film del 2015 Creed – Nato per combattere, spin-off della saga di Rocky Balboa.

Il film Creed II racconta la storia di Adonis, il figlio del grande Apollo Creed, che dopo la morte del padre sul ring trent’anni prima, inizia a combatte per conquistare il titolo mondiale di boxe nella categoria dei pesi massimi e sentirsi finalmente alla sua altezza; il ragazzo arriva alla vetta insieme al suo allenatore Rocky Balboa, ma proprio nel momento più alto della sua carriera, si trova a doversi scontrare nuovamente con il suo doloroso passato, infatti Ivan Drago, protagonista dello scontro che uccise Apollo Creed torna per riprendersi la vittoria dopo la sconfitta contro Rocky Balboa, il suo obiettivo è schierare all’angolo rosso il figlio Viktor, per riprendersi l’onore perduto a causa di quella disfatta storica (che ricordiamo tutti in Rocky Iv) a portare nuovamente in alto il nome Drago, questa volta dovrà essere proprio il figlio, che pubblicamente decide di invitare Creed allo scontro, un match che ha il sapore di passato, ma che dopo 30 anni lascia ancora tanto vuoto, paura e rabbia nel giovane Creed. La sfida Drago vs Creed è come un continuum di una storia già vista e questo spaventa Creed e tutti quelli che lo amano, ma i giovani sono entrambi sospesi in un limbo fatto di aspettative e legami invisibili con i loro cari e per spezzarli non possono far altro che scontrarsi per riviverli.

Alla fine del film vincerà chi combatte e si batte per se.

Non si può far finta di essere qualcun altro o tanto meno la seconda possibilità dei propri padri. Sul ring si sale e si vince per se e per il proprio futuro.

Inizialmente infatti, Drago junior cercava di vincere per conquistare l’amore della madre che lo aveva abbandonato insieme al suo popolo e sentirsi al pari del padre e delle sue aspettative mentre Creed combatteva per vendetta, e sembra beffardo quel destino che li vede entrambi vittime di due padri ancora così presenti (nonostante il tempo e la morte) che hanno il potere di guidare le loro vite.

Soltanto quando Creed junior si renderà conto che rischia di farsi schiacciare dal peso del suo passato e condizionare le sorti del suo futuro che deciderà di togliersi la maschera di compatimento per quella storia lontana e questa volta non lascerà che il ricordo del padre decidi per lui, proprio nel momento dell’insight, dove il giovane Creed si concederà di essere se stesso che avverrà la svolta finale del film, Creed inizierà ad allenarsi per vincere e non per ricordare o vendicare il padre.

Più volte Balboa gli ricorderà: “tu per cosa combatti?”

Allora il ragazzo sarà già pronto per salutare la sua rabbia, chiudere con il passato e le sue ferite, dall’altra parte Ivan Drago, deciderà di buttare la spugna per amore e spezzare per sempre quel legame con il passato.

Ivan Drago, personaggio che cresce e matura durante il film, deciderà di abbandonare il suo sogno e non lasciare al figlio la responsabilità di cambiare le sorti di una vecchia storia, perché i figli non sono una strada già battuta dai padri, ma sono una nuova strada, ancora sterrata che ha bisogno di costruire del nuovo, anche se a volte vengono seminati semi che crescono e diventano piante, ad un certo punto della vita c’è bisogno di doverle sradicarle dalla terra per far un po di spazio a se stessi.

Film che parla del legame profondo tra figli e padri, legami invisibili che tornano a strozzare quando ci si prova a discostare da quelle aspettative e da quel copione scritto per se. Creed vuole ricostruirsi su quelle vecchie ceneri, ma non è una fenice, è un pugile e per vincere deve saper sopportare il dolore, ed è una bella metafora di vita la frase che urla balboa durante l’incontro: “Se vuoi infliggere dolore devi sopportarlo”,  in questo caso l’avversario, che può rappresentare le nostre paure, va guardato dritto in faccia, perché finché spaventa e si sta lontano non si può sconfiggere, ma si può vincere solo a distanza ravvicinata.

Un film commovente, che ci fa apprezzare lo sport, quello leale, che fa capire cosa significa davvero aver “amor proprio”e capire che per rispettarsi a volte bisogna anche saper andare oltre l’orgoglio ed il giudizio degli altri, infatti, è proprio oltre tutto questo che possiamo trovare i sorrisi pieni di amore di chi ci ama e l’abbraccio di chi ci sostiene oltre le sconfitte. 

Perché chi ama, ama per quello che l’altro È, non per quello che l’altro FA!!

In psicologia Lorna Benjamin parla di IPIR – persone importanti e le loro rappresentazioni interiorizzate, che rappresentano tutti quei modelli interiorizzati dalle figura di attaccamento. Secondo Lorna ogni essere vivente interiorizzerebbe le regole delle figure di attaccamento imparando ad agire agli eventi in determinati modi e relazionandosi all’altro già con delle idee su di se e sull’altro.
Il bambino così in poco tempo svilupperà una IPIR del genitore e si relazionerà ad essa anche da adulto.

Spesso però nei rapporti disfunzionali si può voler vivere per portare a compimento la storia delle proprie IPIR mettendo in campo dei processi di copia disfunzionali che sono collegati alle interiorizzazioni delle figure di attaccamento:

  • Identificazione (Sii come lui/lei)
  • Ricapitolazione (Agisci come se lui/lei fosse ancora qui e avesse il controllo)
  • Introiezione (Tratta te stesso come ti trattava lui/lei).