DOLLS (2002) di TAKESHI KITANO

Matsumoto e Sawako, Hiro e Ryoko, Haruna e un suo Fan.

Sei entità, tre legami.

Takeshi Kitano, regista ed autore di questa eterea opera giapponese, pone all’attenzione dello spettatore tre particolarissime modalità relazionali che si fondano su altrettanti tre accadimenti improvvisi, ma universalmente assoluti, che quando si presentano, penetrano all’interno, plasmando il nostro comportamento: il senso di colpa, il trascorrere del tempo, la perdita di un senso.

Iniziamo dal senso di colpa impersonificato dalla figura di Matsumoto e dalla tragica storia del suo amore con Sawako. Non è mai facile prevedere che la rottura di un rapporto sentimentale causata volontariamente da una delle due parti possa provocare il tentativo di suicidio dell’altra. Ancora di più se questo tentativo, malamente fallito, come in questo caso da parte di Sawako, possa provocare uno stato permanente di regressione mentale, con la conseguenza di non poter più badare a se stessa. Matsumoto decide allora che l’unico modo di riparare al suo errore, perché sa di aver sbagliato, è quello di destinare il resto dei propri giorni unicamente alla cura di lei, con l’atroce consapevolezza che il suo sacrificio, forse, non verrà neanche compreso. E’ l’inizio di un’odissea, un vero e proprio calvario, in una silente e dignitosa povertà, dei due “vagabondi”, così come venivano chiamati, uniti ai loro piedi da un corda che Matsumoto è costretto a legare a Sawako per evitare di poterla fisicamente perdere quando camminano.

Hiro non è felice. Anziano boss, con una vita vissuta all’ombra del potere criminale e della violenza, cede talvolta al ricordo di Ryoko, ragazza dolce, semplice, che tantissimi anni fa lo amava profondamente, ma che lui ha preferito lasciarla per una vita più intraprendente. Ma anche lei non lo ha dimenticato, non limitandosi tuttavia ad una nostalgia mnestica: reitera fisicamente ogni giorno il ricordo portandosi un fagottino con il pranzo e sedendosi sulla stessa panchina dell’ultimo colloquio di tanti anni fa, sperando che ritorni. E lui un giorno effettivamente ritorna. La vede, e, a differenza di lei, la riconosce. Accortosi di aver buttato una vita, ritorna da Lei ogni giorno, sulla stessa banchina, cercando di fargli capire chi è. Ma un agguato mortale, degno figlio del suo macabro mestiere, gli spezzerà il lieto futuro che una triste vita gli avrebbe rimpiazzato. E Lei resterà di nuovo ad aspettarlo su quella panchina.

La perdita di un senso. Un viso sfigurato può essere drammatico per colei la cui immagine è oggetto di idolatria da un pubblico di giovanissimi, fino a decidere di abbandonare le scene. Specularmente, ciò avviene anche per coloro che vivono nell’ammirazione totale di quell’idolo, come i fan. Uno di loro, venuto a sapere del triste destino di Haruna, giovane diva per teenager, che è rimasta sfigurata a seguito di un incidente, non regge, e si acceca volontariamente per il dolore di non poter sopportare di non vederla mai più. Haruna chiusa oramai nella suo triste isolamento, viene a conoscere del gesto estremo del suo fan. Lo vuole conoscere, e nasce una dolce ed innocente relazione tra i due, dove Lei lo accompagna in bellissimi viali illustrandogli, con la sua voce, il supremo candore della natura. Ma una mattina Haruna non lo vedrà più arrivare perché il suo fan ha perso la vita investito per la strada. E Lei resterà di nuovo sola.

Kitano struttura soggettivamente tre relazioni caratterizzate da un profondo legame sentimentale, ma che ruotano sul medesimo triplice movimento progressivo: perdita affettiva, reintegrazione, e di nuovo perdita, questa volta definitiva. Ed il baricentro è sempre rappresentato da una donna e dal corrispondente destino dell’uomo: una donna che impazzisce, una donna che resta sola, una donna sfigurata. E gli uomini che perdono la vita. Perché? Perché il punto focale, centrale, di “Dolls” è finalizzato nel far percepire allo spettatore che il “movimento” dell’allontanamento-avvicinamento/completezza- allontanamento definitivo, ha sempre un esito drammatico.

Una sorta di contraltare, di implicito sacrificio per coloro che sbagliano, o che sono attanagliati da un destino sfavorevole, i quali si accorgono dell’errore commesso, o del caso avverso, ma non riescono ad essere felici scaraventando nel precipizio della disperazione coloro che hanno amato e che sognavano una vita migliore. Chiaro il tetro messaggio di Kitano: non c’è speranza al di fuori dello sbaglio iniziale, o di un destino sfavorevole.

Ma si può anche non sopravvivere all’altro. Matsumoto e Sawako, nel loro continuo peregrinare senza meta, cadranno da una montagna in un precipizio dove la corda che li univa si impiglierà nel tronco di un albero, lasciandoli penzolare nel vuoto.A testa in giù, con i loro corpi morti perfettamente vicini.

Perché la loro unione era destinata, quella sì, a vivere insieme per sempre, anche nella morte.