Era, ed è ancora, una corsa contro il tempo……. La Cina deve continuare a produrre. Se la domanda crolla , la Cina non può permettersi di abbandonare alcune produzioni, come potrebbe fare un sistema capitalista normale. Bisogna mantenere la produzione, tenere aperte le fabbriche, sovvenzionare le banche, quale sia l’avanzo commerciale, invadere altri mercati esteri con merci di buona qualità offerte a prezzi ipercompetitivi a vendere ancora di più alla parte della popolazione interna che può permettersi di acquistarle. Non si può fermare il sistema, perché se si ferma, si ferma tutto il paese”. Tim Marshall (I Muri che dividono il mondo) -Ed 2018

Quando ho terminato di vedere l’ultimo film di McKay che avevo apprezzato moltissimo nella Grande Scommessa, sono stato permeato da un leggero senso di delusione.

Lo dico subito. Non tanto dalla comunque realistica visione egocentrica del potere mediatico- politico- imprenditoriale nei confronti di un evento terrificante quale una cometa che cade sulla terra, ma soprattutto dalla strana gestione di tale fenomeno.

Al contrario di quello che accade nel film, la compartecipazione sul piano delle responsabilità dei governi nazionali e della comunità internazionali (l’ONU in testa) per la direzione di un evento come quello immaginato nel film è politicamente e materialmente, oltre che giuridicamente, necessaria. Basti vedere la anche eccessiva solerzia con cui vengono gestiti a livello internazionale i rischi di collisione di piccolissimi asteroidi.

Comunque, essendo un’opera grottesca, non mi ero posto altre domande. E poi il film scorreva velocemente, attori bravissimi, un certo coinvolgimento.

Leggo, però, in questi giorni che il vero obiettivo del regista-autore era la rappresentazione della gestione politica e mediatica del surriscaldamento globale. Sicuramente un’altra forma di meteora, che corre con una velocità molto più lenta rispetto a quella dell’impatto nel film, ma comunque di pari gravità, problema planetario che se non risolto fra qualche anno comporterà danni irreversibili.

Ma se questo era l’obiettivo, il messaggio celato, indiretto, mi dispiace dire che è stato lanciato nel peggiore dei modi. Perché la realtà è molto diversa e complessa da quella che McKay ha scritto e diretto.

Intanto, come dice il termine, il global warming è per l’appunto……un fenomeno globale. E’ così vero che è oggetto periodico di convegni internazionali, l’ultimo quello di Glasgow della metà di novembre scorso.

Ma soprattutto, i Paesi che sono i più restii al raggiungimento dell’obiettivo principe del contrasto al global warming, cioè la diminuzione della temperatura terrestre, sono i due più grandi Paesi al mondo: la Cina e l’India che solo loro due compongono, con i due miliardi e mezzo di persone, poco meno di un terzo della popolazione mondiale.

Egoismi nazionali?? No, per nulla, ma necessità di dovere mantenere gli attuali processi produttivi o comunque di doverli mutare molto gradualmente. Pena?? Lo dice bene Tim Marshall per la Cina, fermare un Paese di un miliardo e 440 milioni di persone.

La causa del surriscaldamento globale è legata a processi produttivi (e ai consequenziali comportamenti collettivi) del secolo scorso che oramai (come si sta già facendo in alcuni settori) vanno superati. L’uso di combustibili fossili, gli allevamenti intensivi di bestiame, i fertilizzanti azotati, solo per fare qualche esempio, vanno oramai sostituti da interventi di efficientamento energetico, ristrutturazione dell’economia circolare di beni e materie prime, ridisegnamento dei movimenti di beni e persone che richiedono tempo e gradualità, strategie governative di ampio respiro, investimenti economici inenarrabili, nuova sensibilità sociale.

Quindi richiedono un’assunzione di responsabilità politica di tutte le maggiori potenze del mondo (che nel film di Kay non esistono!!!) finalizzata a modificare radicalmente quei processi produttivi che esistono grazie a quelle stesse intere comunità di persone (statunitensi e non) che nel film vengono visti come cittadini succubi e mutevoli sul piano comportamentale a seconda delle pressioni mediatiche!!!!

No, non è questa la realtà che anche indirettamente si vuole fare apparire, la quale è molto più complessa.

Se si vuole coniugare seriamente una produzione cinematografica imponente, come sicuramente è “Don’t look up” con la necessità di veicolare un messaggio importante, questo lo si fa con quel coraggio che deve essere equivalente al contenuto del messaggio, e non come un talk show orchestrato con una visione qualunquista da radical chic.

Dobbiamo guardare sopra, sotto ed intorno a noi. Se vogliamo veramente vedere.