Noi siamo le nostre storie. Per quanto insignificanti o gloriose che siano, le nostre storie unificano lo spirito che ci accompagna durante tutta l’esistenza. La volontà ed il destino, interscambiabili tra di loro, sono le loro costanti, i due unici pilastri che deviano i nostri percorsi. E comunque il nostro spirito è sempre forzatamente legato ai vissuti degli altri, alle loro vicende, fino a intersecarsi in quel grande puzzle di vite che forgiano la nostra visione del mondo, quella che ci accompagna dall’infanzia alla morte.

Noi, in quanto nostre storie, ovviamente ne siamo gli attori. Ma ci sono anche coloro che per indole o professione le storie le scrivono e le recitano, e si trovano, a seconda del grado di sensibilità personale, inevitabilmente e in maniera completamente naturale, a pervadere la propria esistenza con quello della storia scritta o recitata.

L’opera cinematografica di Ryūsuke Hamaguchi, adattata su un racconto di Murakami, ambisce a mostrare come la compenetrazione trascendentale tra uomini e vite possa affrontare una particolarissima forma di elaborazione del lutto.

Yusuke ed Oto, attore e regista teatrale Lui, e drammaturga Lei, sposati, sono legati da un fortissimo legame sentimentale. Malgrado la particolare forma di ispirazione artistica di Lei, che trova durante gli amplessi sessuali, anche con altri uomini, la trama delle sue storie, Yusuke ed Oto partecipano le loro esperienze professionali con quel candore frammisto ad una leggera apatia dialettica che poi rappresenterà una costante di tutto il film.

Yusuke, che insieme ad Oto aveva già subito un fortissimo lutto per la morte della loro unica figlia, resterà completamente da solo a seguito della improvvisa scomparsa della stessa per emorragia cerebrale. Ma Oto continua ad essere presente nella vita di Yusuke attraverso la sua voce, quella impressa in cassette audio con le quali Oto, poco prima della sua morte, aveva registrato le parti di una commedia di Anton Cechov, “Zio Vanja”.

L’abitacolo della Saab rossa di Yusuke diventa pertanto il tempio personalissimo ed inviolabile di una elaborazione quotidiana del lutto, al cui forte dolore psichico si fonde anche una permanente melanconia nel sentire quella voce, incompatibile con l’aspirazione al superamento dello stesso lutto. Cosi imprescindibile questo abitacolo dalla triste vita di Yusuke, che quando gli proporranno due anni dopo la morte di Oto di essere il regista proprio dell’opera di Cechov, avrà dei forti dubbi nell’accettare una condizione insindacabile avanzata dalla produzione teatrale : per questioni di responsabilità, la macchina di Yusuke dovrà essere guidata da un autista.

A malapena Yusuke accetterà questa trasformazione radicale nella sua elaborazione del lutto, perché comprende come la presenza fisica di una terza persona nella macchina possa rappresentare un muro in quel flusso inconscio che permaneva immancabilmente, tutti i i giorni, tra Lui ed Oto. Ma proprio il destino, di cui abbiamo accennato all’inizio come una delle componenti permanenti della nostra esistenza, consentirà a Yusuke di superare il suo lutto con altre sorprese.

Intanto la figura del suo autista, Misaki, una ragazza con un triste passato, intriso di rimorsi (presunti) per la morte della mamma, e che trova proprio nel suo lavoro, fare l’autista, il tentativo di sfuggire mentalmente da un trascorso terribile. Sarà il lentissimo ma progressivo confronto tra le anime di Yusuke e Misaki, nei loro timidi dialoghi, durante i lunghi percorsi dall’Hotel del primo al teatro, e viceversa, proprio all’interno di quell’abitacolo, che sostituirà la voce di Oto, fino a farla scomparire .

Poi la commedia di Cechov. Nel fare i provini per la scelta degli attori di Zio Vanya, volutamente Yusuke sceglie Koji Takasatui, uno degli amanti estemporanei della moglie di cui aveva scoperto la relazione, e con il quale costruirà un rapporto che consentirà di aprirsi sulla sfera sentimentale e sessuale di Oto.

E poi, interessantissima presenza nella commedia la figura di Janice Chan, ragazza ipoacusica, che interpreterà la parte di Sonya dell’opera di Cechov solamente con i gesti, quindi, al di fuori e al di sopra di ogni forma di linguaggio verbale.

La conoscenza di queste tre figure , cioè l’autista Misaki, l’attore Koji e l’ipoacusica Janice, che rappresentano anche delle fondamentali aperture di Yusuke al mondo esterno, acquistano un senso in “Drive my car” solo nella misura in cui si fondono nella preparazione dell’opera d Cechov, Zio Vanja.

Esattamente come gli interpreti dell’opera di Cechov, Vanya, Sonya, Serebrijakov, Elena, pur se diversissimi da Yusuke, Misaki, Koji, Janice, ne ripercorrono, nella loro infinitezza temporale, e quindi nello spirito che muovono le loro vite, la loro essenza.E quei rimpianti per una vita sprecata, per dei desideri mai perseguiti, per delle relazioni che non si fondano sull’incontro di anime ma sull’arroccamento delle proprie posizioni, tali da far si che tutti quei personaggi sembrano perennemente fermi su sé stessi, queste caratteristiche dell’opera dello scrittore russo non sono per nulla dissimili dalle storie giapponesi che Driv My Car racconta: il vissuto esistenziale, se cambia da uomo ad uomo, si ripropone, da sempre nei secoli.