I CORPI ABERRANTI ……..segue

Il film di Trumbo è l’apoteosi sublimata alla condizione inenarrabile degli esatti antipodi che toccano la condizione umana: vita completamente non vitale.” Stefano Simeone

E JOHNNY PRESE IL FUCILE (1971) DI Dalton Trumbo.

Confronto con Freaks: riflessioni

I corpi “mostruosi” del film di Browning, come abbiamo visto la scorsa volta, davano comunque luogo ad una relazione “vitale” tra l’uomo “normale” esteriormente, ma mostruoso interiormente, e “i mostri” umani, i corpi aberranti esposti nella loro cruda realtà, almeno secondo una certa sensibilità convenzionale. Vi erano intrecciate tra di loro, infatti, dinamiche relazionali vere e proprie: si amavano, si deridevano, lottavano fra di loro, si odiavano. Quindi i corpi rispondevano pienamente ai loro impulsi collocandosi in una situazione di piena eguaglianza con i cd. “normali” (pur tenendo conto delle criticità che soprattutto nascevano dall’impossibilità, per alcuni, dell’uso degli arti).

Lo spettatore, pertanto, guardando “Freaks”, è in una posizione terza, equidistante, non essendo costretto per forza (come giusto che sia) ad adeguarsi a giudizi di valore, o di natura pietistica, per la sola condizione di una delle due parti, tenendo conto, a maggior ragione, della conclusione del film, e quindi del messaggio insito nello stesso.

“E Johnny prese il fucile”, l’ incredibile opera di Dalton Trumbo del 1971, unico film da Lui diretto, è una rappresentazione cinematografica del corpo “mostruoso” che non riesce neanche a relazionarsi al mondo esterno, come invece gli interpreti del film di Browning.

Johnny, un ragazzo americano partito per la prima guerra mondiale, viene colpito da una granata restando “solamente” vivo: infatti, oltre la perdita degli arti, Johnny perde la vista, l’udito, la parola, rimanendo solo viva la sensibilità corporea, anzi, su ciò che gli resta di quel corpo. E pertanto, per tutta la parte del film, Johnny parla, allo spettatore, attraverso il suo pensiero che si può solo sentire. Un film realmente introspettivo.

Johnny non può interagire, non può dialogare, non esiste relazione: parla il suo non-Io.

Dove emerge la genialità dell’opera??? Nel costringere lo spettatore a prendere una posizione. Anzi, a compiere una scelta trascendentale: cioè, entrare dentro il corpo di Jonny. Non puoi non entrarci. Non potresti limitarti a non-vedere (Johnny è completamente coperto e ha sul volto una maschera di garza) un uomo di cui parla il suo pensiero senza entrarci dentro. Provando, pertanto, quello che prova Lui. E, nel contempo, essere impossibilitati a spiegarlo, illustrarlo, manifestarlo prima a te stesso, oltre agli altri.

Si può solo provare le sensazioni di Johnny, non far provare.

Qualì? L’angoscia, soprattutto. Perché sai che quella situazione è irreversibile. Finché vivrà Johnny, al massimo, potrà utilizzare solo la memoria, forse sognare, e durante il giorno vivere la terribile condizione di non vivere.

Il film di Trumbo è l’apoteosi sublimata alla condizione impossibile degli esatti antipodi che toccano la condizione umana: vita completamente non vitale.

Il profilo etico che ne deriva, e che aleggia, logicamente, per tutto il lungometraggio, è l’altro aspetto, essenziale ed imprescindibile. E non parlo di quello dell’antimilitarismo, per il quale il film è soprattutto conosciuto, ma della decisione di Johnny (ovvia, considerata l’irreversibilità della sua condizione) di eliminare l’ultimo residuo della sua non-esistenza: la vita.

Questa sua scelta è incompatibile con l’arroganza comportamentale e culturale di un sistema quale quello scientifico che si presenta completamente insensibile alla sua condizione: aspetto purtroppo normale nella nostra società. 
Nel caso di specie, era conveniente considerare Johnny come un fenomeno da baraccone. E né l’aiuto dell’infermiera Marsha, che riesce a codificare il movimento della testa come codice Morse, né l’insistenza dello stesso Johnny nell’utilizzare questo rimedio, riusciranno ad attuare quella scelta eutanasistica quale unica fuga da una condizione allucinante.

Allucinante: perché solo con questo termine si può (se si riesce) immaginare una condizione come quella di Johnny che sarà costretto a mantenere, suo malgrado, fino alla fine dei suoi giorni.