Estate ’85 (2020) regia di F. Ozon
Una storia d’amore che dura sei settimane, divampata sulle spiagge della Normandia, fra vestiti, musiche e tante atmosfere degli anni ‘80 sapientemente evocate dal regista.
Il sedicenne protagonista di questa storia, nonché Io narrante, faccia d’angelo, carattere introverso e una pericolosa inclinazione all’abbandono sentimentale conosce David in bizzarre circostanze, durante una tempesta di mare che lo sorprende all’improvviso. David lo salva e lo prende sotto la sua ala protettiva. Ne nasce un’amicizia immediata, e anche qualcos’altro.
David è diverso, è un affascinante provocatore, uno che la vita se la divora, un puro concentrato di energia e gioia e piacere di vita. I due vivono una immediata e bruciante storia d’amore. Le immagini dapprima poco invadenti seguono poi i due ragazzi nell’esplosione della passione, che è sempre nuova per chiunque vi si abbandoni senza cautele.
Il mare, la barca, le strade della cittadina, le corse in moto amplificano il senso di apertura e reciproco affidarsi dell’uno all’altro. Ma il film sembra suggerire anche altro, e cioè che l’amore è un detonatore capace di mostrare tutte le falle delle nostre certezze e la labilità dei confini mentali che ognuno impone a se stesso.
L’amore, per l’urgenza che lo caratterizza, è prossimo alla morte più di quanto si possa immaginare. I due ragazzi, infatti, attraverso esperienze di vita diverse, hanno maturato un’idea della perdita e dell’assenza più complessa di quanto si possa immaginare. L’adolescenza è l’esplosione degli opposti, sete insaziabile di esperienze, urgenza iconoclasta di abbattere luoghi comuni e, al contempo, sentimento del tempo e della morte confuso e morboso.
L’Io narrante scivola nella passione, con tutti i suoi corollari fatti di incertezza e gelosia e paura della perdita, sedotto dall’idea stessa di vitalità e sensualità che David emana. Mentre entriamo sempre più nella storia, Ozon è capace di farci sentire le sofferenze del protagonista ma anche lo struggimento della lontananza, come se la storia fosse più un luogo intimo della memoria che uno spazio reale.
Si prova, vedendo questo film, la sofferenza della bellezza, quando questa è già segnata dalla consapevolezza che l’intensità del sentire è sempre a termine, soggetto alla trasformazione del tempo che passa. Questo sembrano suggerire le immagini, dove l’intensità dei colori estivi della Normandia viene però smorzata da un effetto anticato, dove ci si diverte a giocare fra urgenza del presente e nostalgia del ricordo, in una dialettica temporale che mostra la maestria della gestione dei piani narrativi. Ma l’ulteriore chiave di lettura riguarda il processo della scrittura e, in generale, della creazione artistica. Raccontare di sé aiuta a guarire? Forse solo se si riesce ad allontanarsi da sé, acquisendo poi la consapevolezza che noi amiamo solo quello che la nostra immaginazione ha proiettato sulla persona scelta e che, pertanto, non amiamo che frammenti di noi stessi.
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