Farewell amor (USA, 2020). Regia: Ekwa Msangi. Interpreti principali: Ntare Guma Mbaho Mwine, Zainab Jah, Jayme Lawson, Nana Mensah, Joie Lee, Marcus Scribner

Il cinema ci ha abituati a storie di immigrati prese dalla cronaca e trasposte su pellicola: respingimenti alle frontiere, radicalizzazione e banlieue date alle fiamme, barconi che non reggono il mare, battaglie legali, difficili convivenze in palazzi fatiscenti; ma anche esempi di piena integrazione e successi in campo sportivo o imprenditoriale. Si tratta di persone: ma prima arriva la loro storia e solo dopo il nome, il ruolo, gli affetti; ce li raccontano soprattutto come esempi, da seguire o da fuggire, e non come padri, madri o figli.

Farewell amor regala uno sguardo nuovo, diverso, più intimo, a una storia come le tante generate dall’emigrazione e dal ricongiungimento di nuclei familiari i cui componenti hanno vissuto lontano tra loro per anni, a volte decenni, immaginandone il seguito. Cosa accade a una famiglia che finalmente, dopo 17 anni di lontananza, si riunisce non appena madre e figlia, rimaste a lungo bloccate in un Paese africano diverso dal proprio, riescono finalmente a ottenere il visto e a raggiungere il marito e padre che lavora a New York come tassista?

Chi sono queste tre persone, l’uno per l’altra, ora che la distanza non è più l’unica modalità che conoscono per raccontarsi e interagire? Che presenza, realtà e quotidianità hanno sostituito telefonate, immaginazione e speranze? Cosa è accaduto in questi anni di lontananza ad ognuno di loro? E la loro vita di oggi riuscirà a integrarsi con quella di ieri per provare a immaginare un domani insieme? Lui, Walter, che ha lavorato giorno e notte per provvedere alla propria sopravvivenza e ai bisogni di una famiglia lontana, solo in una città immensa, si è appoggiato a qualcuno? Ed Esther e Sylvia, madre e figlia, come sono cresciute lontane dalla propria patria, sempre in attesa di un visto che non arrivava?

I tre personaggi ce lo raccontano uno alla volta, dal momento del loro incontro in aeroporto e per i due giorni successivi. Come in Rashomon di Kurosawa, ciascun personaggio racconta la propria verità, il suo sguardo sugli altri due, ciò che ha immaginato e ciò che ha trovato. Le distanze e le paure ci sono entrambe, e riflettono le conseguenze di un incontro che rimette in discussione equilibri a lungo coltivati e che da un momento all’altro saltano in aria.

Il film descrive il ricongiungimento in America di una famiglia originaria dell’Angola, un paese devastato da 30 anni di guerra civile, quando una semplice parola sbagliata detta alla persona sbagliata poteva segnare il proprio destino. La kizomba era il ballo che accompagnò i primi passi di Walter ed Esther, quando bastava una serata sulla spiaggia, il pesce sulla brace e un vino scadente per essere felici. I migranti tornano ad essere uomini e donne, adolescenti alle prese con le proprie incertezze e i tentativi di affrontarle.

Il film è diviso in tre parti, ciascuna delle quali espone il punto di vista del protagonista. Nella prima è Walter a raccontare la sua prima notte newyorkese con Esther, che ha scelto di restargli fedele durante tutti gli anni di lontananza, ma con la quale non riesce a ritrovare alcuna intimità perché porta ancora dentro di sé l’amore per Linda, un’infermiera che nel tempo ha alleviato la sua solitudine e che ora ha preferito farsi da parte. Poi è Sylvia, precipitata in un mondo che non conosce e non comprende, a descrivere la propria nostalgia degli amici e le difficoltà nella riscoperta di un padre di cui non aveva che vaghi ricordi. Proverà a superarle buttandosi nella danza davanti a una platea ostile, spostando su un piano fisico tutte le titubanze e  la voglia di esprimersi che le parole non riuscivano a tradurre. Infine Esther, che durante l’esilio in Tanzania si è rifugiata in un credo religioso e ora lo mette in discussione in un doloroso percorso di rinascita personale.    

La vicenda parla della riunione di un nucleo familiare sotto lo stesso tetto, ma il film non racconta come finiscono questi giorni; e d’altra parte non è la meta a interessare la regista, al suo esordio, bensì le risorse che ciascuno dei protagonisti prova a mettere in campo per tentare un nuovo incontro. Ed è quello al ricordo di un tempo lontano, a quell’amore che forse non sarebbe tornato comunque, l’addio di cui parla il titolo.