Fearless – Senza paura (titolo originale Fearless, USA, 1993). Regia: Peter Weir. Interpreti principali: Jeff Bridges, Isabella Rossellini, Rosie Perez, Tom Hulce, John Turturro, Benicio del Toro, John de Lancie, Steven Culp
Un uomo si aggira tra le macerie di un disastro aereo. Tiene in braccio un bambino piccolo e per mano un altro di qualche anno più grande. E’ appena precipitato in un campo di granturco il volo Intercity Airline 202, diretto a san Francisco: molti passeggeri sono morti, molti altri feriti, e l’uomo consegna il bambino piccolo alla madre. Poi se ne va dal luogo della tragedia, affitta una macchina e torna verso casa.
Cosa succede dopo un trauma così potente come un incidente aereo? Quali meccanismi mette in atto la nostra mente per proteggerci dal terrore che abbiamo attraversato in un tempo apparentemente infinito, in realtà pochi minuti? Quando il nostro amico e socio è morto decapitato e i pochi sopravvissuti hanno perduto le persone con cui stavano viaggiando?
La scelta di Max Klein, architetto di San Francisco, è quella di sentirsi immortale e comportarsi come tale: mangia le fragole, che fino a prima del volo gli erano proibite in quanto allergico; danza nel vento sul cornicione di un grattacielo, allargando le braccia e roteando su se stesso;

la fragilità che lo ha accompagnato tutta la vita, e che l’incidente aereo gli ha sbattuto improvvisamente in faccia, è ora una compagna con cui flirtare senza preoccuparsi di chi lo ha visto tornare a casa. Non importa che la TV lo dipinga come il buon samaritano che ha salvato molte persone, non importa essere ancora vivo, Max abita un limbo a cui non era preparato, in cui vuole dimostrare a se stesso che la fine di tutto non gli fa più paura.
Lo psicologo ingaggiato dalla compagnia aerea per aiutare i superstiti ad elaborare quanto accaduto lo mette in contatto con Carla, una madre che ha perso il proprio figlio al momento dell’impatto. I due iniziano a frequentarsi e a passare insieme giornate senza tempo, con troppo prima e nessun dopo, e a confrontarsi con quanto accaduto. Carla è una credente che si dà la colpa di non aver stretto abbastanza a sé il suo piccolo, che l’incidente ha strappato al suo abbraccio. Max vive un presente atarassico, privo di slanci e passioni, rimasto congelato al momento del disastro. Così come ha salvato altre persone, prova a farlo anche con Carla, fino a dimostrarle nel modo più efficace che lei non avrebbe potuto in alcun modo salvare il figlio, e che la colpa che continua ad attribuirsi è un castigo che le impedisce di andare avanti.
Quando Carla inizia a comprendere che è necessario lasciare andare il proprio dolore decide di lasciar andare anche quello di Max, congedandosi dalle giornate passate insieme e da un amore che poi amore non era, ma un legame diverso, dettato dalla finitudine quanto l’amore è trascritto su pagine di infinito.
L’ascesa all’empireo di Hieronymus Bosch, quarto episodio delle Visioni dell’Aldilà, è un dipinto che ricorre durante il film, così come il tunnel di luce dell’esperienza di premorte, quella fase in cui il corpo apparentemente ha cessato le sue funzioni vitali ma la mente, o lo spirito, ha la visione di ciò che accade attorno al corpo, una musica celestiale si diffonde, tutto è armonia e una luce ci attira verso uno spazio infinito.

Lo fa anche il corpo di Max, attraversando la carlinga aperta dopo l’impatto, nel silenzio, quando i flash-back che raccontano il disastro hanno finalmente chiuso il cerchio della storia, ciò che è accaduto, ciò che poteva accadere, e come i protagonisti lo hanno attraversato.
E’ una terra di confine che racconta la precarietà dell’essere, quella che propone il Peter Weir di 30 anni fa: come in Picnic a Hanging Rock, Gli anni spezzati e Un anno vissuto pericolosamente, la vicenda è un pretesto per raccontare la precarietà dell’Uomo, la casualità che separa vita e morte. Il sottotesto, in questo film un particolare sviluppo della sindrome da stress post-traumatico, è in realtà un modo per raccontare quella terra di confine che ci accompagna quotidianamente e di cui ci rendiamo conto solo quando il destino decide di ricordarci la nostra precarietà.
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