Frost (titolo originale Šerkšnas, Lituania, Francia, Ucraina, Polonia, 2017). Regia: Sharunas Bartas. Interpreti principali: Mantas Janciauskas, Lyja Maknaviciute, Vanessa Paradis, Weronika Rosati, Andrzej Chyra, Boris Abramov.
Rokas vive insieme a Inga in un piccolo appartamento a Vilnius. A causa di un imprevisto, un amico che avrebbe dovuto consegnare in Ucraina il contenuto di un furgone di aiuti umanitari per conto di una ONG, non è più in grado di partire e chiede loro di sostituirlo nel viaggio. Dopo un iniziale rifiuto Rokas decide di accettare la proposta e il giorno successivo, caricato il furgone e senza pensarci troppo, parte insieme a Inga verso la sua destinazione.
Una serata in un albergo con una compagnia improvvisata di giornalisti offre ai due ragazzi l’opportunità di mettere a fuoco la guerra verso la quale si stanno dirigendo ma di cui sanno poco o nulla. L’Ucraina è al centro dell’Europa o ai suoi margini? L’inviato di guerra deve cercare la notizia o semplicemente trovarsi al punto giusto nel momento giusto? E perché non si parla delle guerre che da anni affliggono Yemen e Sudan? Quanto pesa la prospettiva da cui si osserva una realtà? E i giornalisti cosa vogliono davvero i giornalisti che vivono all’estero raccontando i conflitti nel mondo? Qual è la profondità delle loro relazioni? Confusi in questo gruppo che si è formato per caso e si disferà la mattina successiva, dentro una babele di lingue e domande, Inga si lascia andare con Andrzej, l’uomo che avrebbe dovuto aiutarli a smistare il carico di aiuti, e che il giorno dopo scompare.

Mentre Rokas cerca conforto in Marianne, una giornalista francese disincantata e cinica, forse stanca di una vita passata lontano da tutto a raccontare storie difficili da comprendere.
Dopo la sosta il viaggio prosegue, e il carico da consegnare diventa un pretesto per raggiungere il centro del conflitto, una discesa agli inferi che ricorda il cuore di tenebra del capitano Kurtz. Man mano che il furgone con il suo carico si avvicina al fronte del Donbass i posti di blocco diventano più severi, le conversazioni più laconiche, i racconti più crudi. Alcuni soldati hanno il compito di recuperare e rimpatriare le salme, altri raccontano di aver imparato a riconoscere l’odore della morte; e, pur ospitandoli per la notte in bivacchi improvvisati, evidenziano ai due ragazzi con quanta impreparazione si siano imbarcati in questo viaggio. Mentre guida, Rokas filma con il proprio smartphone palazzi sventrati e strade distrutte; la realtà che si para davanti scarnifica ogni pensiero superfluo e il silenzio invade l’abitacolo del furgone. Fino all’ultima tappa, a pochi metri dal fronte, quando Rokas troverà la risposta che cerca.
Due ragazzi probabilmente stanchi di giornate prive di stimoli si offrono per raggiungere un territorio che non conoscono, dentro un conflitto di cui forse non hanno sentito parlare. Lo sguardo di Sharunas Bartas si posa sulla vicenda accostando una delle due parti in conflitto (in questo caso gli ucraini unionisti, cui sono diretti gli aiuti), ma non ne abbraccia la causa. E’ la guerra, ogni guerra, il motore del film. Un evento che da notizia sui giornali diventa realtà sempre più autentica, con la neve che si colora di sangue e i corpi che riempiono l’aria del disgelo di un odore impossibile da descrivere. L’Iliade cantava la morte dell’eroe, il fascismo le “bella morte”, mutuando dal Risorgimento i valori di una Patria da costruire. Ma quanto vale la vita, l’unica che abbiamo, di fronte alla minaccia armata al proprio Paese? Me lo ero già chiesto dopo aver visto Alla mia piccola Sama (https://www.cinemaepsicologia.it/alla-mia-piccola-sama), riflettendo sul valore che ciascuno di noi riconosce alla patria, alla famiglia, alla vita, e come sia complicato proteggere uno di questi valori senza mettere contemporaneamente a rischio gli altri.

Rokas cerca di capire un conflitto lontano per dare valore alla propria vita, al proprio amore per Inga, che durante il viaggio pareva essersi frantumato. Ma fino a che punto spingersi per capire? La massima vicinanza al punto di osservazione ottimale garantisce davvero l’opportunità di comprendere per poi utilizzare quanto appreso nel seguito della propria strada?
I campi allargati di un territorio innevato e allo sfascio si alternano ai primi piani dei protagonisti, e in questo alternarsi di punti focali allargati e ristretti si nasconde forse la risposta che Rokas sta cercando. Non costituiscono indicazioni sufficienti il velato disprezzo dei soldati verso i due volontari improvvisati, né la consapevolezza di poter partecipare, per quanto è nelle loro possibilità, a sostenere una delle parti in causa. La giusta distanza per Rokas non può essere altro che nel centro esatto del conflitto, perché solo da quel punto così vicino alla morte l’anestetico emotivo che lo affligge smetterà di produrre i suoi effetti. Aprendolo a tutto ciò che potrà accadere in una posizione così scomoda, e accettando un rischio che per lui vale la pena di correre.
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