ALLE ORIGINI DELLA RABBIA
Irlanda, 1923.
Un’isoletta. Simile a tantissime altre. Pochissimi abitanti, casette isolate, animali d’affezione ed allevamento, paesaggi mozzafiato, mulattiere. E come in ogni isoletta che si rispetti, il susseguirisi di atavici riti, pagani e religiosi, i discorsi nel pub, le pinte di birra, i chiacchericci, le malignità, i secolari racconti.
Una immagine plastica del lento ed inesorabile trascorrere del tempo, del quale sussiste una micidiale proporzione tra il suo passare e l’inerzia della vita in ogni sua manifestazione: tanto è ferma la seconda, tanto si ha la forte percezione che non si muova la prima.
In questa dimensione, morfologica ed antropologica, solo il “reale” può stravolgere la “realtà”.
E questo evento, improvviso, non preannunciato, fulminante, è rappresentato dallo stecciato di silenzio e di distacco che, in un giorno come tanti altri, Colm Doherty decide di erigere nei confronti del suo altrettanto secolare amico Pádraic Súilleabháin.
Un muro. Senza un perchè, senza un’avvisaglia, un dubbio. Una scelta unilaterale che provoca tra due esistenze che si erano fuse nel corso di decenni una rottura lasciando l’Altro in uno stato di smarrimento emotivo e sembiantico inenarrabile.
Perchè? Cosa gli ho fatto? Perchè non mi riconosce più quale fraterno amico?
Dopo le insistenti richieste nel comprendere le ragioni di questo comportamento, Colm gli dice chiaramente che vuole dedicare il resto della sua vita nel tentare di fare qualcosa di concreto, che gli consentirà di essere ricordato per sempre dopo la sua morte: comporre della musica con il suo violino, insieme ad altri violinisti di isole vicine. Aggiunge di essere stanco di perdere tempo con Lui in inutili conversazioni, quelle che da decenni, giornalmente, Padraic, considerato da tutti un uomo troppo “gentile”, intavolava con Colm.
Di fronte alle irrisolte perplessità di Pádraic, incredulo e sofferente, Colm arriva perfino a minacciare di tagliarsi le dita della mano, scaricando sull’ex amico l’eventuale responsabilità del mancato conseguimento del suo obiettivo.
Secondo “reale”, evento impensabile, irrazionale, che va a minacciare una “realtà” già incrinata.
Pádraic non crede che Colm possa arrivare a tanto, che sia capace di distruggere gli unici mezzi indispensabili per comporre. E’ un controsenso, un paradosso, e pertanto continua nella sua azione di “stalkeraggio”, non riuscendo a sciogliere un vincolo d’amicizia che sembrava indissolubile.
Ciò che non solo Padraic, ma l’intera comunità non si aspettano, è che Colm si amputa veramente le dita di una mano: prima una, e poi tutte e quattro. Ma non si limita ad amputarle, va da Padraic e gliele butta contro la porta di casa, marcando ulteriormente la propria decisione di non voler più parlare con Lui.
E nel normale dispiegarsi degli eventi umani, dove ogni fatto produce sempre un effetto, l’ingerimento delle dita di Colm da parte di Jenny, la dolce asina di Padraic, ne provoca la morte. E di conseguenza la rabbia di Padraic, che oramai ha perso ogni forma di “gentilezza”, pacatezza, che lo contraddistingueva, con la relativa decisione di incendiare la casa di Colm.
“Gli spiriti dell’isola” è un’opera estremamente metaforizzante, smboleggiante di come il mancato, od ancora peggio, l’interrotto riconoscimento tra gli esseri umani, senza un valido motivo, sia la causa primigenia dell’odio.
E su come non ci sia nulla che possa fermare questa spirale se non la stessa volontà umana.
Non sicuramente lo Stato, simboleggiato nel film dal rozzo poliziotto Garda, esternatore di un potere becero ed anarchico, e che causerà il suicidio del figlio disabile Dominic.
Non sicuramente la Chiesa, personificata da un confessore completamente disinteressato alla dinamiche del conflitto, ma preoccupato solo dall’immagine esteriore che lo stesso può avere nella comunità.
Non sicuramente l’insieme di maschere che girano intorno ai due uomini, troppo legate a vecchi convenzionalismi per rendersi conto del dramma che sta avvenendo. E tanto meno la natura, con le sue paradisiache fotografie, ma che non riesce ad incidere sull’evolversi degli eventi.
Forse l’unica eccezione è rappresentata dagli animali che girano inorno alle tristi vicende umane di quest’opera.
Resta il vero perno, il centro gravitazionale di ogni coesistenza, individuale e collettiva che sia: il riconoscimento.
“Gli spiriti dell’Isola” è un monito, che può adattarsi ad antichi e nuovissimi conflitti, e che fonda la sua essenza che solo un dialogo vero, puro, spontaneo tra essere umani, sgangiato da obiettivi che possano distruggere il valore del riconoscimento dell’Altro, senza influenze esterne, può rappresentare l’unico antidoto nei confronti dell’odio.
Etnie, sessi, generi, popoli, lavoratori, famiglie riescono ad assicurare la propria sopravvivenza nel momento in cui si riconoscono, senza che ciò incida sul mantenimento delle proprie idee o della propria concezione di vita.
Ma sempre nel rispetto, “gentile”, nei confronti dell’Altro.
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