“Sepolcro io gli darò; bella, se l’opera avrò compiuta, mi parrà la morte” tratto da “Antigone” di Sofocle.

I CANNIBALI (1970) di LILIANA CAVANI

Cosa spinge una donna a violare il divieto di seppellire il proprio fratello, consapevole che questa trasgressione gli provocherà la morte? SI tratta solo di superare con il suo gesto il famoso dissidio abramico tra la legge morale e quella umana, oppure c’è altro?

La tragedia di Sofocle narra le gesta di Antigone che sfida la legge della città voluta da Creonte, nuovo re di Tebe, il quale proibisce la sepoltura di Polinice, uno dei due fratelli uccisi di Antigone, per aver combattuto insieme ai nemici.
Quest’ultima decide in ogni caso di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice contro la volontà di Creonte, e, scoperta, viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. Anche Emone, promesso sposo di Antigone e figlio di Creonte, si ucciderà dal dolore.

L’opera della Cavani riproduce la vicenda greca ambientandola in una città reale ove vige una stato di polizia conforme, nella rappresentazione scenica, a certe esperienze dittatoriali proprie degli anni ’70.
I cadaveri dei ribelli uccisi vengono lasciati per le strade cittadine, nelle piazze, sui marciapiedi, e non è possibile, per ordine governativo, toccarli e spostarli. Scelta che risponde alla cruda volontà di affermare il proprio potere al fine di assicurare la pace sociale. La gente osserva impietosamente questo divieto, e non solo convive con questo orrore, ma ne è succube, rendendosi disposta a denunciare eventuali trasgressioni.

Una moderna Antigone sa dov’è il corpo del fratello ribelle ucciso, ma nessuno è disposto ad aiutarla, eccezion fatta per un giovane straniero, Tiresa, di cui non si riesce a capire la provenienza, ma che collabora con Antigone a prelevarlo e a garantirgli le onoranze funebri.
I due giovani, convinti della loro azione, continuano ad attuarla con altri cadaveri lasciati nelle strade, fino a quando vengono presi. Dopo una serie di torture subite da Antigone, e malgrado il tentativo non riuscito da parte dell’amato Emone, figlio del primo ministro, di liberarla, questa verrà uccisa insieme a Tiresa. Ma da quel momento vari ragazzi cominciano a prelevare i cadaveri per garantire una sepoltura con riti antichi.

George Wilhelm Friederich Hegel, nel fornire la sua interpretazione dell’atto suicidario di Antigone, ritiene che Lei sia fermamente convinta che la legge della città, quindi una legge voluta dagli uomini derivi, in quanto tale, dalla legge divina e questa non possa ammettere alcuna deroga rispetto al supremo amore familiare. Pertanto l’ordine di Creonte di non seppellire il fratello può essere disatteso. Anche a rischio della propria vita.
Hegel spiega questo atteggiamento con il presupposto che Antigone non sia riuscita a realizzare intellettualmente un nesso tra le due leggi, e che quella della città sia effettivamente anch’essa una legge divina, ma finalizzata ad un diverso scopo supremo: il mantenimento dell’ordine. La legge della città garantisce la pace sociale, e quindi tra le due leggi non vi è dissidio perché identico è l’obiettivo.

Jacques Lacan si stacca da questa ricostruzione del filosofo tedesco per fornire al dilemma una ricostruzione di natura soggettiva. La volontà di Antigone è fermamente rivolta ad evitare ogni compromesso sul riconoscimento del proprio desiderio, neutralizzandolo, non accettando alcuna relazione che renda possibile tale rapporto, assolutizzando così la sua drastica scelta.

Quale Antigone sceglie Liliana Cavani? L’opera rappresenta la sintesi delle due posizioni. Già la scelta della localizzazione storica in una dispotica realtà dittatoriale ci spinge a scorgere nel gesto dell’eroina non solo la volontà di non accettare un’opzione che è contraria ad ogni etica, anche se risponde ad un principio nazionale finalizzato a mantenere l’ordine. Ma sicuramente la scelta di Antigone è certamente nutrita anche da questo impulso di morte, ad andare oltre l’inimmaginabile, a superare la barriera del desiderio che cerca l’altro in una sintesi dialettica, affermando unilateralmente la propria volontà, e che la trascina inesorabilmente “Al di là del principio di piacere”, per usare propriamente il titolo della seminale opera di Sigmund Freud.

Antigone è ferma nella propria posizione e non accetta compromessi, pertanto gode del suo desiderio, ergo l’aspirazione alla propria morte quale realizzazione di quest’ultimo.

E soprattutto Antigone, con il suo gesto, ricorda che c’è sempre un potere superiore alla volontà umana e a quella della polis, che Lei ha già, con il suo gesto, conosciuto: l’Ade.

Forse un monito che dovremmo anche oggi tutti comprendere.

Film lucido, leggermente visionario, a tratti grottesco, come in parte la sua colonna sonora, paradossalmente a tratti gioiosa rispetto al tema trattato, è volto ad evidenziare le discrasie ed antinomie di uno stato di polizia a vocazione capitalistica ed il rapporto con i suoi “sudditi”. Ma la parte più interessante del film, è sicuramente quell’anticipazione rappresentativa dell’anarchia del potere totalizzante che troverà nel Salò di Pasolini di cinque anni dopo la massima concretizzazione cinematografica in Italia degli anni 70.

Emblematico, in questa direzione, il parallelo che si può fare tra le ultime scene delle due opere, caratterizzate dal potere nascosto furtivamente nel palazzo che osserva, perversamente, attraverso il binocolo, le atrocità che commette. Con l’importante differenza, vale la pena di sottolineare, che al nichilismo annientatore di ogni forma umana del Salò corrisponde invece un messaggio di speranza nell’opera della Cavani.