I lunedì al sole (2001) di Fernando León de Aranoa, Quando la disoccupazione ti fa perdere il senso della vita 

Chi di noi non si é trovato qualche volta nella sua vita senza un lavoro, una occupazione, un guadagno, anche per periodi più o meno lunghi?

Quale sono state le emozioni, i sentimenti provati quando nel passare dei giorni nessuna porta si apriva, o forse si apriva timidamente per poi chiudersi, nonostante i continui sforzi per tornare al mondo del lavoro? Angoscia? Incertezza del futuro? Delusione? Sfiducia nel sistema? Autostima sconfitta?

Il titolo di questo film spagnolo del 2001 prende appunto il nome da un movimento sociale di disoccupati in Francia caratterizzato dall’’essere giocoso, appariscente, poetico,con interventi in luoghi pubblici per dare voce alla loro condizione. Questo movimento sociale riesce a creare, nel senso più forte del termine, una situazione poetica e giocosa a partire da un’altra situazione che non ha nulla di poetico. 

Il film si apre con la scena di un altro evento reale che è servito da riferimento durante la sua realizzazione, il licenziamento di 90 lavoratori per la chiusura di un cantiere navale del nord della Spagna (a causa di un progetto più succoso), portando il dramma ad alcuni di loro, i protagonisti del film.

Questi sei amici, tra i 40 e i 50 anni, si incontrano al bar di uno di loro. Il bar che ha aperto con i soldi dell’indennità fine rapporto. Non lo fanno soltanto per ammazzare il tempo, in queste chiacchiere non si sentono così soli. Tra un drink e l’altro, condividono lo stesso senso di disorientamento, demotivazione e disperazione forgiata. Sono, come tante occasioni, i rapporti tra loro, l’amicizia, che ammorbidirà la loro routine, li farà sentire accompagnati su un percorso difficile.

A questa età, in mezzo a tutto e niente, non si è più giovani, ma non si ha ancora nemmeno raggiunto la vecchiaia; non ci sono disposizioni sociali per questo gruppo se si esaurisce il lavoro. Ma ci sono risorse individuali, e questi uomini dovranno superare una vera e propria crisi d’identità in cui, inconsapevolmente, si trovano. Si abituano a uno stile di vita che include l’autostima sconfitta, e quindi la percezione di una realtà corrotta dalle distorsioni, un filtro attraverso il quale entra solo ciò in cui credono. Questo a sua volta porterà a un comportamento scorretto della comunicazione, una mancanza di assertività che li renderà incapaci di esprimere ciò che accade loro. 

Tutti hanno in comune:

  • Una grande disperazione, già appresa e assimilata.
  • La paura del fallimento, di quella che paralizza, di quella che ti fa preferire di non fare nulla per non avere nulla da fallire.
  • Una rigidità mentale, tipica dell’età adulta, basata sulle loro precedenti esperienze e giudizi, che impedisce loro di prendere nuove decisioni, di trovare nuove soluzioni al problema e, soprattutto, di essere chiari sul problema.

Uno dei personaggi principali, Santa, interpretato dall’attore Javier Bardem, riflette l’ingiustizia che stanno subendo in una delle scene del film quando legge ad un bambino a cui ba la storia di La cicala e la formica. Si esaspera perché quello che sta facendo la formica con la cicala non è affatto onesto, giusto, morale.

Inoltre, proclama in un monologo con uno spettatore infantile incapace di comprendere questi discorsi, che la storia non dice il perché alcuni nascono cicale e altre siano nate formiche. Santa si ribella così di fronte un sistema economico capitalista attuale che tratta le persone come dei semplici numeri da prescindere quando il mercato non ne ha più bisogno; senza molte opportunità di reinserirli di nuovo nel mercato del lavoro, soprattutto per il fattore età.

Il lavoro è considerato un organizzatore psichico, un fattore centrale nella vita delle persone. A questo punto, non avere un lavoro significa non avere soldi, e questo significa non avere alcun credito, nessun bambino, nessuna casa … e questo sembra essere lo stesso di non avere nulla. 

L’aveva già spiegato lo psichiatra austriaco Viktor Frankl negli anni ottanta, fondatore della Logoterapia e autore del celebre libro ‟L’uomo in cerca di senso”.

Frankl parla della neurosi della disoccupazione: “Il sintomo principale è la depressione grave dovuta a una doppia mancanza di identificazione, il disoccupato tende a ragionare così: sono disoccupato, quindi sono inutile, quindi la mia vita non ha senso. Questa interpretazione é stata rafforzata da alcune circostanze: quando sono riuscito a integrare un giovane disoccupato in un lavoro non retribuito ma utile alla società (una università popolare, un’organizzazione giovanile, una biblioteca pubblica) la depressione ha ceduto notevolmente, sebbene lo stomaco continuasse a protestare come prima. Si è poi constatato che non è la disoccupazione in sé a portare alla neurosi, ma piuttosto la consapevolezza della mancanza di senso della vita, e questa non si rimedia  semplicemente  con la rete di sicurezza dello stato, l’uomo non vive di soli aiuti alla disoccupazione. 

Per quanto riguarda il pensionamento anticipato, non è meno problematico a livello psichiatrico. Già la pensione all’età di 65 anni pone già abbastanza problemi, alcuni dei quali in relazione alla società di produzione che ci governa e che prende d’assalto l’idolatria dei giovani. Questo fa moltiplicare la consapevolezza del disoccupato della mancanza di senso nella vita con il sentimento di inferiorità di chi si sente abbandonato come un vecchio ciarpame. 

Avremmo quindi davanti a noi una depressione causata dalla situazione socioeconomica del paziente, diversa della cosiddetta depressione endogena che ha origine nella dimensione biochimica, e della depressione a base psicodinamica.” 

Uno dei personaggi che rappresenta il limite di ciò che la mancanza di significato nella loro vita può produrre in alcuni individui è Amador. Amador rimase senza lavoro e senza amore. 

Lui si trova sempre in un angolo del bar davanti al suo immancabile bicchiere. Quello che manca è sua moglie, “che se n’è andata e sta sempre per tornare”. È quello che dice ogni volta che gli chiedono di lei. Il personaggio di Santa, si prende sempre cura di lui, soprattutto quando esce dal bar con molti drink di troppo. 

In uno di questi momenti, Santa accompagna Amador a casa sua. Incontra uno spettacolo cupo: l’appartamento è assolutamente distrutto. Distrutto dal passare del tempo e dalla mancanza di qualcuno che lo abiti. Amador non ha più chi o cosa ospitarlo. Tanto che quando i suoi amici vanno a cercarlo, scoprono che Amador si è buttato nel vuoto dalla sua finestra. 

La sua perdita di speranza portata all’estremo ha così un tragico e amaro finale.

Come recita un proverbio arabo  “Non arrenderti. Rischieresti di farlo un´ora prima del miracolo”. 

Forse questa sia la chiave maestra per andare avanti nella vita nonostante gli ostacoli, SPERANZA E PERSEVERANZA.