Il bacio della pantera (titolo originale Cat People, USA, 1942). Regia: Jacques Tourneur. Interpreti principali: Simone Simon, Kent Smith, Tom Conway, Jane Randolph, Jack Holt, Henrietta Burnside, Alec Craig
All’interno di uno zoo una giovane donna, appostata davanti alla gabbia, è intenta a disegnare una pantera. Un uomo, attratto dal fascino misterioso della ragazza, si avvicina e inizia a parlarle. Irena è una disegnatrice di moda di origine serba, Oliver un ingegnere navale. Lei lo invita a casa, un ambiente dove le rappresentazioni di felini e guerrieri circondano gli spazi, e gli parla di una leggenda del suo villaggio: a causa di un’antica maledizione gli abitanti, quando venivano coinvolti in situazioni di rabbia o passione, si trasformavano in belve feroci.
Nel giro di poco tempo Irena e Oliver si sposano, ma pur amandolo lei se ne tiene a distanza, convinta che la maledizione finirebbe per farla diventare una pantera e ucciderlo. Così il matrimonio non viene consumato e l’amore inizia a lasciar spazio al dubbio fino a quando Oliver, consigliato da Alice, una sua collega di studio, propone a Irena di vedere uno psichiatra, il dottor Judd, che nella sua prima seduta la sottopone a ipnosi.
I simboli ricorrenti di lotte e animali, le scene notturne, i chiaroscuri, la rinuncia al contatto fisico, il ritorno frequente davanti alla gabbia della pantera, disegnano una donna fragile e insicura che teme di trasformarsi in una creatura al di fuori del proprio controllo, capace di distruggere ciò che ama.

All’interno di atmosfere prevalentemente notturne, le sequenze horror sono solo accennate per mezzo delle tracce lasciate: abiti strappati, rumori improvvisi, ombre che si stagliano sulle pareti.
Il rifiuto di Irena allontana Oliver, e quando lei decide di non aver più paura di una leggenda che la sta anestetizzando dalla vita reale è ormai troppo tardi.
In una scena Alice, lasciata sola da Oliver sulla strada di casa, si incammina nel buio della notte seguita da Irena. I passi delle due donne sul marciapiede alimentano una tensione sempre crescente fino a quando un rumore sinistro, come di un felino, sembra far irrompere sulla scena un atto di violenza.

Invece è lo sferragliare di un autobus, che passa e salva Alice dalla minaccia sconosciuta. E’ la tecnica del “Lewton bus”, utilizzata per ingannare lo spettatore che al culmine della tensione si immagina accadere qualcosa di drammatico, mentre sulla scena appare invece un oggetto innocuo. Ma la vita va avanti, che i protagonisti lo accettino o no. Sarà Judd, lo psichiatra, a rompere l’equilibrio attraverso un gesto che le regole deontologiche e il buon senso non avrebbero dovuto consentire.
Girato con pochi mezzi e scene recuperate da una precedente pellicola della stessa casa di produzione, il film racconta il potere della suggestione e la minaccia della realtà. Quasi un capostipite del genere horror, con incursioni nel cinema espressionista e nella psicoanalisi, e scelte estetiche capaci di enfatizzare una storia lontana rendendola minacciosa presenza nella quotidianità lavorativa di una città indaffarata. Con fuori campo mirati e inquadrature cariche di simbolismo, pur nella sua breve durata rimane un gioiello incastonato nel passato della Hollywood più viva, le cui tracce rimangono ancora oggi nella memoria dei cinefili.
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