C’è più verità in una lettera anonima che in un proverbio cinese

Il commissario Pepe (Italia, 1969). Regia: Ettore Scola. Interpreti principali: Ugo Tognazzi, Giuseppe Maffioli, Silvia Dionisio, Tano Cimarosa, Umberto Simonetta, Pippo Starnazza, Gino Santercole.

Per motivi elettorali occorre dare una mano di bianco sulle voci incontrollate che corrono per la città, e così il Commissario Pepe viene incaricato di indagare su possibili giri di prostituzione con minorenni, pederastia (parola oggi desueta ma all’epoca in auge) e lesbismo, orge e altre articolazioni della sessualità che in epoca di Youporn farebbero sorridere: tutte situazioni per le quali i suoi predecessori, più ligi alla carriera che ai doveri di servizio, si erano girati dall’altra parte. Inizia così il suo lavoro cercando di leggere al di là della patina di rispettabilità che i suoi concittadini espongono come un trofeo in bacheca: si accorgerà che nessuno è davvero pulito e dovrà scegliere quali, tra i suoi indagati, sono da sommergere e quali da salvare.

Il commissario ha sempre esercitato il suo mestiere con il buon senso del funzionario pubblico: mai abusando del potere e accompagnando paternamente fuori dalle situazioni più difficili chi mostrava un ravvedimento sincero. Ha una relazione con una donna che preferisce tenere segreta, pur essendo entrambi liberi, e che accompagna di nascosto a prendere il treno per Milano, dove lavora in una casa di mode.

Ettore Scola dirige con mano sapiente un Tognazzi che inizia a dimostrare quanto sappia essere a suo agio anche al di fuori del territorio consacrato della commedia. Pur circondato, per mestiere, da tante persone, il suo personaggio è un uomo solo: perché la sua donna si assenta per lunghi periodi, le forze dell’ordine hanno una qualità investigativa scarsa e non riesce a riconoscersi nella città dove è approdato.

Solo Parigi, un vecchio reduce sempre in giro su una rumorosa motocarrozzella per gridare ai quattro venti ciò che sa di ammucchiate e prostituzione minorile, riesce a scuotere la sua apparente ignavia, coinvolgendolo in scontri verbali densi di sottotesti.

“Io mi interesso di queste cose perché è il mio lavoro”, dice il commissario. “Invece questo è il mio passatempo: per questo ne so più di lei!” gli risponde Parigi. Che, come Cyrano, ama essere odiato. E in questo odio profondo, evidenziato dai concittadini che al suo passaggio si girano dall’altra parte, costruisce il proprio senso di esistere, la sua utilità sociale ed il suo approdo esistenziale.

In modo specularmente opposto al coro greco, che nella tragedia esponeva il sentimento della comunità, Parigi racconta ad alta voce proprio ciò che la città vuole ignorare.

Quando una missiva, che verrà commentata dal reduce con le parole in esergo, comunica al commissario che la propria donna si prostituisce a Milano, l’equilibrio precario a cavallo del quale aveva svolto il proprio lavoro si spezza e l’indagine prenderà una piega inaspettata.  

Ispirata a un libro che racconta la provincia vicentina, sceneggiata dallo stesso Scola e da Ruggero Maccari e girata nel capoluogo e a Bassano, la vicenda descrive ciò che cova sotto la cenere di una città tranquilla e laboriosa.

Qualche macchietta (l’appuntato siculo e Garibaldi, anziano alcolizzato) e alcuni riferimenti alla politica del tempo (l’invasione dei carri armati russi a Praga e il sacrificio di Jan Palach) non disperdono comunque lo sguardo dello spettatore dalla focale del film, il sesso come dietro le quinte di una vita dedita al lavoro e alla messa domenicale. Ma contrariamente a Moravia (La noia, 1960) e Germi (Signore e signori, 1965), Ettore Scola non confina questa pulsione alla borghesia ma ne fa un trastullo di tutte le classi sociali, come apparirà in modo iconico in una inquadratura al termine del film.

E’ interessante verificare quale sia lo scarto etico, ma anche giuridico, semantico e narrativo tra il comune senso del pudore di allora e quello di oggi. Ma anche scoprire la somiglianza tra la scelta finale del commissario Pepe e quella del giudice istruttore Bonifazi, che due anni dopo (in un altro film, sempre con Tognazzi protagonista) avrebbe indagato su una differente storiaccia di sesso e minorenni. Decidendo, per omissione l’uno e per occultamento l’altro, di non decidere, lasciando così ad altri la responsabilità di una scelta che sarebbe invece toccata a loro.