Il grande capo (2006) di Lars von Trieb

In questa nuova puntata della rubrica Profondità di campo – dialoghi di cinema e psicologia, vi parlerò di un film che ho trovato geniale, sia per l’originalità dei contenuti che per i temi che vengono affrontati.

E’ un film dove sembra che l’inconscio non esista, tutto si muove sulla dinamica di manipolazione narcisistica, una perversione che sembra non avere nessun confine.

Il grande capo potrebbe essere paragonato al “Grande Altro” di Lacan, una presenza oscura che domina tutte le cose e tutte le relazioni.

Trama: Siamo in Danimarca, una società che si occupa di informatica sta per essere ceduta ad un compratore islandese. Chi vende la società, Ravn, tuttavia, all’apparenza è solo uno dei consiglieri di amministrazione della società, fornito di deleghe, ma non definitivamente responsabile del destino della società. Per le grandi decisioni, ma anche per tutte le rogne, le scelte più impopolari, le crudeltà, i tentativi di corruzione e di manipolazione erotica, Ravn si è inventato la figura mitica del Grande Capo (che nessuno ha mai visto perché non esiste). Il compratore islandese, però, vuole trattare direttamente col Capo, senza passacarte. Così il nostro Ravn decide di ingaggiare un attore disoccupato per fare la parte del Grande Capo. Ma la firma del contratto viene ritardata e intanto il Grande Capo si aggira per gli uffici, entrando in relazione con le persone che ci lavorano e innescando dinamiche di potere e di seduzione.