Era proprio lei, la sua rivale, la donna che ha scelto di incarnare?
Volevo la sua bellezza, la sua giovinezza. Lei aveva rubato la mia felicità.
Partiamo da uno scorcio di dialogo tratto da “Il mio profilo migliore” di Safy Nebbou, film del 2019 presentato al Festival di Berlino.
Anche questa volta non tratteremo la pellicola dal punto di vista critico, non una recensione ma un’analisi di alcuni contenuti, proiezioni e conflitti che fanno parte non solo della protagonista del film, ma dell’universo femminile nel suo significato più archetipico possibile.
Si, perché non importa quanto ognuna di noi sia unica nel suo esistere, c’è comunque quel filo rosso che non solo ci accomuna un po’ tutte ma (per fortuna), ci fa sorridere dolcemente anche del nostro essere donna, sentendoci forse meno sole, parte fondamentale di questo straordinario incastro universale che è la vita dell’essere umano.
L’inizio del film coincide con l’inizio del percorso terapeutico da parte di Claire, egregiamente interpretata da un’appassionata Juliette Binoche che farà i conti con il suo essere donna esplorando tre delle paure (permettetemi il gioco di parole), più coraggiose e quindi penetranti dell’esistenza femminile:
- Giovinezza perduta
- Bellezza che sfiorisce
- Timore della solitudine e dell’abbandono
Claire è una donna sulla cinquantina, lasciata dal marito per una ragazza molto più giovane. Un cliché, verrebbe da pensare. Sappiamo parlarne con estrema ironia noi donne di questi cliché, capaci di demonizzare ed esorcizzare la stessa cosa nello stesso momento. Come non volessimo affrontare una delle paure più grandi che assume la forma del nostro incubo più recondito: la solitudine!
Solitudine che non abbandona Claire nemmeno nel suo lavoro, sfera professionale in cui eccelle e che dovrebbe essere un paracadute, fondamenta ben piantate a terra, mentre l’immagine idealizzata di sé si sgretola sotto il peso di una realtà che la protagonista si rifiuta di affrontare, anche e soprattutto perché si rifiuta di vedere, di vedersi.
In questo appannamento dell’immagine reale di sé, Claire vede molto bene Clara. Se quello che è si confonde e si fonde in un perverso gioco di mostrarsi per qualcosa d’altro da noi, Clara rappresenta invece quello che non è e quindi, tutto quello che è segretamente ed intimamente desiderabile. La seduzione si concretizza in un corpo che non è quello di Claire e con questo corpo “rubato” al web, si definiscono i contorni, si delimita lo spazio, il tempo e il luogo della passione, del desiderio, della conferma. Mentre dentro Claire sta morendo, fuori mostra un’ingannevole fioritura. Una giovane donna che vive della gratificazione dei desideri altrui, meccanismo che crea una pericolosa ma avvincente dipendenza.
Sappiamo che i giochi però non sono fatti per durare all’infinito, prima o poi qualcuno perde, in questo caso è Claire che si perde.
Grazie ad una relazione terapeutica estremamente potente ed efficace però, prende atto della sua vulnerabilità alla disperata ricerca di comprensione e conforto. Si scopre prigioniera di sé stessa, ingabbiata in un corpo che non le appartiene, scelto per difendersi da un mondo che non sa e non vuole affrontare da sola.
La pellicola ci offre l’immagine di una donna che non ha paura di invecchiare, ma ha paura di farlo da sola tanto da creare un corpo, un’immagine così fortemente desiderabile da pensare di assicurarsi compagnia, gratificazione e desiderio.
Assistiamo ad un commovente percorso terapeutico, in cui Claire non si svela completamente, ma svela il suo terrore di confessare il nucleo più profondo della sua sofferenza. Dolore che è la sorgente del suo sdoppiamento di personalità (virtuale prima, reale poi).
Allo stesso modo vediamo la Dottoressa essa stessa vittima, come donna, di un contro transfer da arginare in continuazione, in bilico costante fra empatia e irrequietezza. Il tema del doppio mette la stessa terapeuta a confronto con le sue emozioni più travolgenti in quanto donna che sta invecchiando e allo stesso tempo la consapevolezza di essere di fronte a comportamenti autodistruttivi e sabotanti. Pellicola indubbiamente interessante, da vedere con sé stessi…e con il proprio alter ego!
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