Il portiere di notte (Italia, 1974). Regia: Liliana Cavani. Interpreti principali: Dirk Bogarde, Charlotte Rampling, Philippe Leroy, Gabriele Ferzetti, Isa Miranda, Nora Ricci, Piero Mazzinghi, Ugo Cardea
Se ho voluto vivere come una talpa c’è una ragione.
La ragione per cui lavoro di notte è la luce: ho un senso di vergogna alla luce. (Max)
La fine della seconda guerra mondiale ha portato con sé un racconto sostanzialmente univoco del suo sviluppo e dell’esito finale. Ma non altrettanto per ciò che riguarda l’elaborazione di quanto accaduto: milioni di morti, un folle al potere, un popolo che lo ha seguito e piccoli funzionari dell’apparato che hanno dato forma organizzata al suo delirio. E dopo? Come è riuscito il popolo tedesco a guardare se stesso e a specchiarsi nella Storia? Buttarsi a capofitto nella ricostruzione, virare sulla produzione tutte le energie che fino a poco prima erano state orientate alla distruzione è sufficiente per fare i conti con il proprio passato o serve a dare un senso al solo futuro?
I quattro ex nazisti che si trovano di nascosto all’Hotel Der Oper di Vienna nell’inverno del 1957 non pensano a fare i conti con la Storia, ma solo a sistemare quelli personali, progettando l’eliminazione dei testimoni ancora in vita che potrebbero incriminarli. Nello stesso albergo lavora Max, il portiere di notte ed ex SS, si nasconde agli occhi del mondo per farsi dimenticare – ma anche per dimenticare ciò che è stato. Fino a quando alla reception non si presenta Lucia, oggi moglie elegante di un direttore d’orchestra americano ma solo ieri adolescente austriaca figlia di un oppositore, fatta prigioniera e diventata amante di Max negli ambienti tetri di un lager. Il passato torna all’improvviso e la passione riprende corpo quando i due si incontrano a teatro durante una rappresentazione del Flauto Magico di Mozart.
Dalle cronache dell’epoca sul film emergono le pose iconiche di Charlotte Rampling che balla a seno nudo, con le bretelle e un berretto da nazista davanti alle SS, e le traversie che il film ebbe con la censura, lo stato di minorità mai superato dalla coscienza italica di fronte al sesso.

Ma c’erano altri piani di lettura, meno abbaglianti ma più perturbanti, evidenziati dalle polarità opposte con cui la regista provava ad illustrare stati d’animo così complessi. Luce/ombra, innanzitutto: la consapevolezza di Max che vive le sue giornate nella notte viennese in un presente infinito di espiazione che non trova vie d’uscita, contro la luminosità di una donna sbocciata alla vita, con un passato ormai lasciato dietro di sé e con un matrimonio apparentemente riuscito; ma anche chiarezza/opacità, verità/menzogna, tutti elementi che implodono nel momento in cui si frantuma l’equilibrio precario delle rispettive esistenze e torna la passione tra i due. Era amore o abuso di potere? E oggi cosa è diventato? Vendetta, resipiscenza, o ancora un modo per elaborare qualcosa di rimasto a metà strada e consumarlo fino in fondo?
La tematica vittima/carnefice non è nuova nel panorama cinematografico: 20 anni più tardi Roman Polanski lo avrebbe elaborato ne “La morte e la fanciulla”, ambientandolo negli anni successivi alla caduta di una dittatura sudamericana, anche se con un taglio orientato alla vendetta. Ma qui no, Max continua a vederla coma “la mia bambina”, la bambina che grazie al proprio ruolo aveva posseduto con il silenzio compiacente e gli sguardi compiaciuti delle altre SS. Mentre Lucia in pochi attimi dimentica i 12 anni trascorsi, il suo ritorno alla libertà e alla vita, i pericoli che corre in quanto testimone: e si ferma con Max in un appartamento di Vienna, a consumare gli ultimi cascami di un amore assoluto e per questo privo di respiro. Entrambi stanno vivendo un sentimento e al contempo espiando colpe lontane: lui quella del potere, lei quella della mancata ribellione. Non c’è un chiaro ribaltamento di ruoli, ma un chiudersi lento e inesorabile dentro un meccanismo che non consente salvezza. Fino a quando i due amanti saranno costretti ad apparire alla luce del giorno.

In un gioco di flash back Lucia diventa la Salomè biblica che mentre danza esprime con le parole il suo anelito alla felicità, mentre Max si trasforma in un datore luci a teatro, che manovra il suo riflettore illuminando la scena ed esprimendo così il suo bisogno di chiarezza.
Nelle corde di questo intreccio denso di valenze psicoanalitiche il fluire narrativo procede con qualche incertezza ma senza mai perdere la propria capacità evocativa e il sottile disegno dei due protagonisti. La risposta, se c’è, non è nel vento ma nella luce.
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