“Gli oggetti son cose che non dovrebbero commuovere, poiché non sono vive. Ci se ne serve, li si rimette a posto, si vive in mezzo ad essi: sono utili, niente di più. E a me, mi commuovono, è insopportabile. Ho paura di venire in contatto con essi proprio come se fossero bestie vive” Tratto da “La Nausea” di Jean Paul Sartre
IL SETTIMO CONTINENTE (1989) di MICHAEL HANEKE
“La famiglia S è stata trovata il 17 gennaio 1989 in seguito a una segnalazione del fratello della moglie. E’ stata sfondata la porta dell’appartamento. La famiglia è stata seppellita il 20 febbraio- Nonostante la lettera indirizzata loro i genitori si rifiutano di credere che si tratti di suicidio e hanno presentato denuncia a carico di ignoti. L’inchiesta che ne è seguita non ha dato risultati. La questione è stata archiviata come caso irrisolto”
Haneke ci lascia questo alla fine del suo film. Non ci è dato sapere altro. Soprattutto il perché, Il cosa spinga due tranquilli e benestanti giovani coniugi austriaci ad uccidere la loro bambina e a suicidarsi dopo aver distrutto tutto ciò che c’era nel loro appartamento. Solo i propri cari sapranno la verità con una lettera, mentre agli altri i coniugi Shrober diranno che avevano intenzione di trasferirsi in Australia.
Haneke, con la sua prima opera, che è anche l’inizio della trilogia denominata “La glaciazione”, intenzionalmente non ci suggerisce una sua interpretazione sul processo motivazionale di questa scelta omicida-suicida, la più drastica della vita di un uomo, irreversibile, ed in quanto tale eterna.Un bellissimo quadretto familiare interrotto ad un certo punto da un finale sconvolgente: senza legame tra i due momenti, la quotidianità della vita e la distruzione, come se la luce del giorno fosse sostituita dal buio senza un tramonto. Siamo noi a decidere la forma del tramonto.
L’autore ci offre tuttavia lo stesso indizio iniziale e conclusivo: l’apoteosi degli oggetti che sostituiscono l’uomo, che scandiscono il tempo della nostra vita.I primi minuti del film sono un rappresentazione dei beni domestici che integrano o addobbano il corso delle nostre ripetitive esistenze. Haneke per molti minuti non alza la videocamera sui volti, al massimo si vedono parzialmente i corpi. Sveglia elettronica, dentifricio, ciabatte. colazione, latte, corn flakes, quaderni. Poi l’autovettura con cui il padre, George Schober, accompagna la figlia Eva a scuola e la moglie Anna al lavoro, la stessa autovettura che nei primissimi fotogrammi del film passa attraverso un autolavaggio automatico con la famiglia (i sembianti ancora non visibili) impietrita all’interno. Chiusi dentro una scatola che si muove tra spruzzi di acqua e setole di spazzole rotanti: una macchina a sua volta gestita dai movimenti di un’altra macchina.
La famiglia abbiamo detto appare normale. Come anche le vicende che la riguardano. Il fratello di Anna non riesce a superare la depressione in cui è caduto dopo la morte della mamma, George riesce ad avanzare di grado all’interno della sua azienda (non rinunciando, tuttavia, pure a lui a quel cinismo proprio di chi raggiunge certe posizioni apicali), Eva somatizza alcuni malesseri (dice in classe falsamente che non vede, comincia, sempre in classe, a grattarsi ferocemente senza alcuna ragione). Ad un certo punto, taglio del film. George ed Anna comprano alcuni attrezzi quali martelli ed asce, ritirano tutti i loro risparmi dalla banca, e all’improvviso comincia la lunga e particolareggiata devastazione: della loro casa e di loro stessi.Il “gelo” che segna tutto il film, conferendogli solo nella prima parte una natura dialogica convenzionale, nessun monologo, alcuna espressione introspettiva, è incentrato unicamente sull’occhio ed il giudizio dello spettatore.
Vi è un rapporto direttamente proporzionale tra il vuoto diegetico del film e lo sforzo che deve compiere lo spettatore nell’unire i puzzle di questo fantomatico obiettivo che lo stesso Haneke ha intimamente definito.”Il settimo continente” non è un film horror: ma per quello che mi riguarda è sicuramente traumatizzante. Perché è permeato di Reale. Il mio giudizio è identico a quello che ho sviluppato con “Freaks” di Tod Browing. Ci diverte, ci attrae la pantomima sulla realtà nei film (mostri finti, sangue falso che scorre, arti umani che volano, asce che vibrano nell’aria, etc.). Il vero trauma, ciò che non accettiamo, è il Reale incomprensibile ma soprattutto inaccettabile nella nostra visione “normale” che si impone al nostro sguardo.
Lì, nel film di Browing era l’uomo senza arti che cammina e che si diverte, qui due borghesissimi coniugi che strappano centinaia di migliaia di marchi e li buttano nel water, distruggono i giochi e i libri della loro bambina, strappano le foto del loro passato. Ed infine, con estrema pacatezza, danno un veleno ad Eva e si ingozzano di tubetti di psicofarmaci. Infine, il lettone familiare come tomba.I colpi di martello sono “reali”, sconvolgenti. Distruggono il proprio alveo, il luogo dove si svolge la nostra vita. E sono traumatizzanti perché non toccano solo beni di consumo, ma anche oggetti per i quali normalmente ci “innamoriamo”, volendo utilizzare il termine di Sartre. Foto, dischi, effetti personalissimi, libri, non sono uguali agli altri beni, loro sono attaccati a noi, ci seguono nel corso degli anni, spesso ci vedono crescere.
Ma per i coniugi Schrober questi valgono come gli altri.E’ l’oggetto nel suo significato etimologico, e non concettuale, emotivo, funzionale, come anche ciò che li contiene, come le stanze di un appartamento, cioè l’ambiente circostante, a non essere accettato.Ma non basta. E questo concerne un profilo ancora più complesso. Dopo l’annientamento dei beni materiali, si passa a quello dei propri corpi. Non deve rimanere più niente. Quindi lo scopo non è porre fine alla dittatura dell’oggetto, dimostrare che se ne può fare a meno, ma porre fine alla propria esistenza che ha consentito ai beni di esistere e permanere con loro.
Perché? Forse perché la coerenza di una propria etica anticonsumistica non riesce a conciliarsi con la propria permanenza nel mondo attuale? Potrebbe non essere così, distruggo il bene materiale per vivere di spiritualità, molti lo fanno. O perché il vero fine era la distruzione di colui che ha creato questa società cd. del benessere, cioè l’uomo? L’annientamento totale, la liberazione da tutto e tutti quale fonte di nuova nascita?L’unico momento in cui c’è un conflitto tra i due coniugi sulla scelta di cosa distruggere riguarda l’acquario dei pesci, dove ogni mattina, ogni santo giorno, Eva versava il mangime. Quando Anna vede il marito che ha già sferrato un’ascia per spaccare il vetro urlerà un inutile “no”.Gli altri essere viventi possono restare, gli umani no, forse sono rei di aver messo per piacere personale dei pesci in un acquario.
Haneke inizierà il suo percorso con questo film, nel quale vi sono già moltissimi “germi” delle sue future scelte registiche e diegetiche. Ed è già chiaro il quesito che ci porrà ogni volta: Cos è l’uomo?
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