Il sorpasso (Italia, 1962). Regia: Dino Risi: Interpreti principali: Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Catherine Spaak, Luciana Angiolillo, Claudio Gora, Luigi Zerbinati, Franca Polesello
Sole sul tetto dei palazzi in costruzione,
sole che batte sul campo di pallone…
Francesco De Gregori, La leva calcistica della classe ’68, 1982
Ferragosto, tutto chiuso in una Roma deserta e assolata. Un uomo cerca di fare una telefonata e sale a casa di uno studente. I due non si conoscono e a prima vista sembrano incompatibili: tanto l’uomo è invadente e chiassoso quanto il ragazzo è timido e misurato. Il primo è alto, imponente, occupa lo spazio con il corpo e con le parole; il secondo è magro, silenzioso, forse anche scocciato da questa intrusione improvvisa. Sta studiando Procedura civile per un esame che dovrà sostenere a settembre, ma l’idea di passare questa giornata festiva da solo in casa proprio non gli va giù. Così quando l’altro gli propone di accompagnarlo in auto decide di andare con lui. Vorrebbero fare poca strada, si ritroveranno invece a girare per l’Italia delle vacanze, risalendo da Roma verso nord su una Lancia Aurelia B24. Le tappe saranno sempre scelte da Bruno: la casa della ex moglie, una trattoria, l’incontro con la figlia, una notte sotto le stelle sulla spiaggia di Castiglioncello. E Roberto, che pure spesso è sul punto di mollare e tornare indietro, continua a stare con lui e prova a capire chi sia davvero questo sconosciuto: la voce delle sue riflessioni personali fa da contrappunto a dialoghi in cui lentamente si apre al suo compagno di scorribande.
Bruno è sui 40 e prende a morsi la vita senza curarsi troppo delle conseguenze delle sue azioni, consapevole di un carattere che lo fa apparire brillante e a suo agio in ogni situazione, ma che gli ha causato non poche amarezze e qualche abbandono; Roberto ha poco più di 20 anni e nelle ore trascorse insieme a Bruno la sua pacatezza lascia spazio a una sorta di ammirazione per quell’uomo che riesce a godere del momento senza pensare al domani. Forse un mentore, incontrato per caso, che può aiutarlo a trovare la giusta traiettoria lungo una strada già segnata ma che inizia ad apparirgli noiosa, priva di stimoli e avara di incontri.
I due si avvicinano, un chilometro dopo l’altro, osservando nell’altro ciò che sentono mancare in sé e provando a dargli voce. Lo faranno, ciascuno con le proprie modalità lungo la strada nel loro viaggio di scoperta: sulla spiaggia, sul mare, al tavolo di un ristorante all’aperto, con persone sfiorate per qualche ora prima di ripartire verso una nuova meta.

Non ci sono tappe prefissate né appuntamenti da rispettare, se non il desiderio di Roberto di incontrare Valeria, la ragazza di cui è innamorato.
Uno dei più indimenticabili capolavori del cinema italiano, ci racconta l’Italia del boom come dal finestrino di un treno: i pranzi all’aperto, i balli sulla spiaggia, le straniere da rimorchiare, le auto da superare, una serie di quadri pieni di vita che si susseguono l’un l’altro.

Solo qualche accenno a scavare sotto la superficie levigata da velocità e risate, ma sono attimi, e poi si riparte, come se la corsa non potesse fermarsi mai, e ciò consentisse ai due protagonisti di continuare a ridere degli altri e del mondo. Il finale è noto, e fu scelto dal regista contro il parere del produttore a seguito di una scommessa: se l’indomani, ultimo giorno sul set, ci fosse stato il sole, sarebbe stato Dino Risi a scegliere il finale; se fosse stato brutto, lo avrebbe fatto Mario Cecchi Gori.
La storia racconta come finì la corsa, e come i due protagonisti la vissero fino all’ultimo: con Roberto che urlava a Bruno di accelerare, aggiungendo che questi erano stati i giorni più belli della sua vita; e con Bruno sul cui sguardo, sempre allegro e disincantato, era apparsa un’ombra di paura. Per sé, per la sua vita, per la sua patria, per il suo futuro, o per quel ragazzo, che avrebbe potuto essere suo figlio, e che non aveva ancora avuto il tempo di conoscere davvero.
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