CONTINUERAI A FARTI SCEGLIERE O FINALMENTE SCEGLIERAI?

Invisible (Argentina, Brasile, Uruguay, Germania, Francia, 2017). Regia: Pablo Giorgelli. Interpreti: Mora Arenillas, Mara Bestelli, Diego Cremonesi.

Ely ha 17 anni, frequenta svogliatamente la scuola e il pomeriggio ha un piccolo impegno nello studio di un veterinario. Lo sguardo è dimesso, i capelli raccolti disordinatamente, l’ovale del viso privo di trucco raccoglie un’espressione indecifrabile. La vediamo sui mezzi pubblici di Buenos Aires, la testa appoggiata al vetro e le cuffiette alle orecchie, mentre torna a casa dalla scuola o si dirige al suo lavoretto pomeridiano. La sera rincasa tardi, spegne la TV che la madre lascia accesa, e si corica sul divano di casa.

Sono giornate scandite da piccoli riti: qualche parola scambiate a colazione con la madre, una donna depressa che da tempo non esce di casa e ignora i suoi inviti a scuotersi, poche confidenze a scuola con l’unica amica, poi lo sguardo perso nel vuoto della grande città. Anche il sesso, occasionale in una discoteca o periodico con un uomo sposato conosciuto al lavoro, è una routine a cui non riesce a sottrarsi e che non le strappa sospiri di piacere o di passione. solo movimenti ritmati con sovrana indifferenza. Tutto sembra scivolarle addosso. Tornano alla mente, per silente assonanza, i personaggi di Moravia; Ely, rispetto a loro, non immagina nemmeno un abbozzo di riscatto, una risposta a domande che non è in grado di esprimere. 

Si lascia vivere giorno per giorno in una capitale opaca, fatta di quartieri grigi e strade semivuote, lontane dal centro e da mondi più vivi, musica, colori, suoni. Con un padre assente ed una madre a cui è costretta a fare a sua volta da madre, gli unici momenti in cui Ely riesce ad esprimere rabbia e volontà sono quelli in cui la invita a uscire, a sfidare i propri fantasmi. Ma è un attimo e subito tutto rientra nel torpore in cui affonda la sua vita. Il colore sbiadito dei suoi capelli e la felpa che indossa per tutto il film rappresentano il suo desiderio di mimetizzarsi con l’arredo urbano che punteggia strade anonime e palazzi popolari.

Il giorno che scopre di essere incinta la sua espressione non cambia. In un Paese in cui l’aborto è vietato dalla legge però è necessario affrontare questo problema con tutorial trovati in rete o affidarsi a medici illegali che pretendono pagamento anticipato e in contanti (in relazione alla lotta delle donne argentine per il diritto all’interruzione di gravidanza vale la pena vedere “Let it be law”, un documentario di Juan Solanas che accompagna il loro impegno pubblico e le manifestazioni di piazza fino all’inverno del 2018, quando il Senato negò la conversione in legge; la legge è stata poi approvata nel dicembre 2020). Così Ely si fa convincere ad interrompere la gravidanza dal suo amante, che l’accompagna in auto alla clinica clandestina e poi l’aspetta fuori per riportarla a casa. In quelle stanze si spoglia come se fosse in palestra, slaccia le scarpe, toglie pantaloni e mutandine, e indossa il camice sopra la sua tuta.

Poi aspetta. Aspetta per porre fine al suo problema, per lasciarsi attraversare da un’altra decisione altrui, per continuare ad essere il granello di sabbia incapace di bloccare qualsiasi ingranaggio. Aspetta l’infermiera che non arriva, i passi del dottore nel corridoio che proseguono verso un’altra stanza, aspetta nel silenzio che l’accompagna da sempre.

Quanto tornerà a casa, si siederà sul divano del salotto, si toglierà ancora una volta le scarpe, e guarderà la sua vita, forse, da una nuova prospettiva.

Il silenzio è la cifra che sceglie il regista, al suo secondo film dopo Las acacias del 2012, per narrare una via senza espressione. Invisibili sono i senzatetto, le persone che ci scivolano accanto e non riusciamo ad afferrare. Ma è anche una generazione di adolescenti che ha perso l’opportunità di scegliere, giocare, scappare, scontrarsi. Ely è tutto ciò che sappiamo esistere ma scegliamo di non guardare. Il suo corpo è vivo ma non è in grado di entrare davvero nella vita che le è stata data. Riempie gli spazi aperti della città, quelli più compressi dei mezzi di trasporto e quelli cupi e silenziosi della sua casa camminando leggera, incapace di essere altro che una persona invisibile.

Mora Arenillas è straordinaria nell’incarnare un personaggio senza emozioni o sussulti, procedendo per sottrazione emotiva. Il film attraversa con uno sguardo naturalista diversi generi (biografico, drammatico, film di denuncia), senza identificarsi in alcuno, provando a esplorare un’identità apparentemente vuota. Il risultato è un ritmo intenso e compassato, con una rara capacità di raccontare ciò che è invisibile agli occhi.