JOKER (2019) di TODD PHILIPS
Vi è una coerenza impalpabile, trasparente, eterea, ma socialmente e antropologicamente visibile, antica, che lega i bambini, gli anziani, i malati terminali, i disabili, gli instabili psichici, e in generale chi è fragile, come tutti coloro che non riescono a confrontarsi, e spesso accettare, il sistema che ci avvolge e ci frantuma.
Tutti questi si nutrono dello stesso desiderio: amore. Amare ed essere amati. Non hanno molto altro. E spesso non possiedono il bene più prezioso, ma spesso dimenticato, della nostra presenza terrena, cioè il tempo, per realizzarlo.
Ma la ricerca dell’amore, come di qualunque desiderio che si cela nell’inconscio, richiede uno sforzo particolare. Cioè lasciarsi fuori, abbandonare, smontare tutta la cappa di condizionamenti e conformismi, familiari e acquisiti, che plasmano, dopo averlo represso, l’Io di ciascuno di noi, rendendolo un bravo e rispettabile cittadino di fronte ad una società sempre più cinica ed iniqua.
Quindi trasformare, e non solo metaforicamente, un sorriso da forzato, perché impersonale, falso, in spontaneo, anche quando, e se eventualmente, quel sorriso è il sintomo di un disagio psichico.
Questo era l’obiettivo di Arthur Fleck. Un uomo debole come tanti altri. Un ragazzo che la vita intesa come ineluttabilità del destino non aveva premiato. E che anzi lo aveva costretto a subire l’egocentrismo arrogante e volgare della massa degli “Io” che popolano la città (fantasiosa e simultaneamente reale) in cui vive, Gotham City, dai ragazzini violenti ai colleghi cattivi, dalla non-madre egoista al padre mai conosciuto.
E che quindi vive, come tutti coloro che si trovano in quella condizione, di una vita fantasmatica parallela, sognante, allucinatoria, che spesso sostituisce alla propria.
Fino a quando quell’Es – inconscio, quella ricerca continua del proprio desiderio si trasforma all’interno di una metropolitana in un Es- impulso, violento, di morte.
Arthur utilizza il suo corpo, il viso, le movenze, come strumento per esaltare spasmodicamente quel desiderio di amore che non riusciva a fa emergere nei rapporti interpersonali. Perché, per Lui, era l’unico modo per essere veramente sé stesso senza rapportarsi nei confronti di chi non godeva la sua fiducia.
Ecco perché il regista ha insistito, per quasi due ore, sulle espessioni sembiantiche e corporali di Joker. Pur essendo queste scenicamente simili tra di loro, riempire gli occhi dello spettatore con l’immagine di Arthur, il suo sorriso, il suo sguardo dolce e malinconico, i movimenti, le risate chiassose ed isolate, le lacrime significa far trasparire l’Es-desiderio di un uomo qualunque. E le diverse maschere forzatamente colorate, dal bianco con tracce rosse, al verde predominante, sono nient’altro che il lo strumento di passaggio di questa emotività che altrimenti, agli occhi di tutti, rimarrebbe indifferente.
La polivalenza sembiantica e motoria del corpo umano diventa poliedricità emozionale.
Il mondo per Philips Todd è Joker perché Joker rappresenta l’uomo che diventa tale quando si scatena l’impulso di morte che è in Lui, ed anche quando assume le tragici vesti del fantasma rabbioso nei confronti della società.
Solo in questo senso questo film è un capolavoro. Il sorriso forzato è espressione dell’IO e il sorriso cattivo è quello dell’Es-impulso negativo. Cosa manca in questo film??Un sorriso naturale, risultato del conseguimento del desiderio.
Manca la spontaneità del sorriso umano perché Joker non ha avuto questa possibilità: Il sorriso imposto, convenzionale, sintomatico di un malattia o no, ed il sorriso ghigno cattivo dell’omicida sanguinario sono uniti da uno stesso legame di morte: bypassano il sorriso espressione di desiderio d’amore perché Arthur non ricevuto amore.
E’ chiaro il messaggio di Todd Philips: l’assenza d’affetto trasforma la natura umana in convenzione relazionale, per poi divenire odio impulsivo, coazione, morte.
Ecco anche il perché dell’identificazione massiva di coloro che non accettano il sistema per così com’è, ed hanno bisogno di uno che inizia, anche se coperto da una maschera. Migliaia di maschere simili, indipendentemente spesso dalla personalità di chi le indossa: segno del nostro tempo.
Ma Arthur-Joker è andato oltre, ha varcato il limite. Ha trasformato il sogno in un incubo. Anche perché intrapresa la strada del sorriso intriso di sangue non si può tornare indietro.
Ma noi, per fortuna, non viviamo in un fumetto.
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