Dialogo tra Luigi Pirandello e la mamma morta: l’Alterità del Desiderio, Kojeve e Lacan.

Luigi Pirandello alla mamma: “Ora che sei morta, che non mi pensi più, io non sono più vivo per te, e non lo sarò ma più”.

KAOS (1984) dei fratelli Vittorio e Paolo Taviani

Il nucleo fondamentale della dottrina di Jacques Lacan sul desiderio, teoria che lo psicanalista francese aveva ripreso da Kojeve ed Hegel, è che oggetto del desiderio, cioè dell’inconscio umano, non è qualcosa ma qualcuno: è essere desiderati, è riconoscimento del desiderio, è desiderio del desiderio dell’Altro.

Il contenuto del quinto capitolo della bellissima trasposizione cinematografica dei fratelli Taviani di alcune novelle di Luigi Pirandello è un immaginifico ed incredibile dialogo tra il celeberrimo scrittore, e commediografo siciliano, e sua madre defunta

Pirandello, anziano, ritorna nella sua casa in Sicilia e nella stanza vede, in quanto da Lei cercato, come Lui stesso ammette, il fantasma di sua madre. Ed il dialogo che ne segue pone interrogativi fondamentali di ordine esistenziale.

Spesso ci diciamo che fino a quando viviamo, le persone più care continuano a permanere non solo nella memoria ma anche fisicamente, vicino a noi. Non solo quelle morte, seppure il discorso valga soprattutto per quest’ultime, ma anche quelle vive. E come se non ci avessero mai lasciato, li ritroviamo seduti in una poltrona, come nel caso del racconto, oppure vicino ad un fornello, oppure che ci salutano quando andavamo via.

E’ per questo che il dolore per chi sopravvive, nella sua indiscussa ed intangibile assolutezza, è temperato dal ricordo e dalla sublimazione della presenza fisica della persona amata.

Ma Pirandello pone una questione che si lega indissolubilmente alla teoria di Lacan.

Il mio dolore per la tua perdita, mamma, non è solo legato al fatto che apparentemente non ci sei più, ma a qualcosa di più profondo: che in te, in quanto morta, io non sono più nei tuoi pensieri. Pertanto, non essendo, tu, mamma, più vivente, io non sono più oggetto delle tue dolci cure mnestiche, dei tuoi ricordi. 
Io mi consideravo appagato nel mio desiderio non solo perché ti ho amato, ma perché avevo la certezza che tu mi pensavi, e ho passato la mia vita nella consapevolezza che ero nei tuoi pensieri.

Morto l’Altro, tu mamma, questa certezza scompare. Mancando l’essere desiderato, mi manca il desiderio.

L’assenza dell’Altro, diventa la mia assenza.

Qual è la risposta della mamma non-vivente di Pirandello, del suo fantasma? “Prova a guardare le persone con gli occhi di chi non c’è più, né proverai dolore, certo, ma quelle cose ti appariranno più sacre e più belle”.

A cosa si riferisce la mamma di Pirandello con questa frase? Ad una vecchia storia che lo stesso Pirandello ammetterà di non essere riuscito a scrivere. E Pirandello gliela fa ripetere, cercando di vedere, con gli occhi della stessa mamma, la vela di una tartana, lei, bambina, con i suoi fratelli e la propria mamma raggiungere il padre a Malta confinato in esilio, in un pomeriggio luminoso: una montagna di sabbia bianca, un mare innaturale, ed una gioia sconfinata.

Pirandello si sveglia e chiaramente non la trova.

Ma quello che la madre gli ha “lasciato” con le sue parole rappresenta lo sconfinamento del carattere metonimico del desiderio in qualche cosa di trascendentale. Vedere con “gli occhi” della persona amata che non c’è più vuole dire, in presenza della rottura irrecuperabile del rapporto tra due desideri, la piena assunzione fisica, corporale, non solo trascendentale (anche se la trascendenza ne rappresenta ovviamente l’unico mezzo di trasmissione), dell’Io con l’Altro.

Io divento Te, sento il dolore che non ci sei più, e la tua essenza contenuta nella tua memoria, cioè l’archivio della tua vita, attraverso i tuoi occhi mi penetra e mi forma.

E le cose allora le inizierò a guardarle con il tuo sguardo, e vedrò cose diverse da quelle che vedevo io, forse…”più sacre e più belle”.