SAUSSURE, LACAN e I SIGNIFICANTI DI LANTHIMOS

KYNODONTAS (2009) di YORGOS LANTHIMOS

Uno dei maggiori e più influenti fondatori della linguista moderna, il semiologo svizzero Ferdinand de Saussere, morto nel 1913, con la sua opera postuma “Corso di Linguistica Generale”, nell’illustrare il rapporto fondamentale tra linguaggio (universale) e la parola (individuale), sottolinea la particolare relazione che sussiste tra “significante” e “significato” come i due elementi fondanti la nozione di “segno”.

Il significato sarebbe il concetto, mentre il significante sarebbe il veicolo acustico attraverso il quale il concetto può trasmettersi agli altri; la funzione del segno sarebbe quello di coordinare il rapporto tra questi due elementi, con l’essenziale funzione di connettere, unire un significato al suo significante.

Jacques Lacan, psichiatra e filosofo francese, nel “Seminario II°” riprende l’insegnamento saussuriano sovvertendolo completamente. Nel rapporto tra significante e significato, è il primo che detiene la supremazia sul secondo, affermando così la piena autonomia e supremazia dell’ordine simbolico sul profilo immaginario del significato. E’ la parola trasmessa dall’Altro che fonde la realtà, modella le cose inserendola in essa: noi non parliamo, mai siamo parlati dall’ambiente circostante.

Lantynos, con la sua coraggiosissima e insieme distopica opera, idealizza un modello educativo e costitutivo della soggettivizzazione umana fondato sul principio del completo isolamento di tre ragazzi dal mondo circostante con l’unica eccezione della frequentazione con i loro genitori. Nessuna scuola, alcun contatto con il mondo esterno, niente mezzi di comunicazione (televisore, telefono), quotidianità vissuta in una idilliaca ed isolatissima villa con piscina, giornate riempite dalle “lezioni” paterne e da una apatica e fasulla armonia tra in cinque familiari.

Ma attenzione: non fasulla perché convenzionale, ma perché il rapporto significante / significato è alterato oltre che dalla limitata catena dei significanti che quei ragazzi apprendono, dalla deliberata volontà dei genitori di attribuire a dei significati dei significanti completamente diversi, manipolando così la loro conoscenza. I tre ragazzi , senza alcuna imposizione, non solo diranno sempre ciò che vogliono che dicano i loro genitori, perché i loro significanti sono stabiliti e comunicati solo da questi, ma sono (questo è l’aspetto più grave) anche certi della corrispondenza tra significanti e concetti, cioè, come abbiamo detto, i significati sottostanti.

Eguale risultato viene prodotto anche nell’immaginificazione di situazioni che, nella normalità, danno il senso di una esatta corrispondenza tra enunciato e concetto. Così i genitori fanno credere ai propri figli che quando passa un aeroplano ogni tanto può caderne uno, e così, nascondendosi, buttano sul prato un modellino affinché i ragazzi facciano a gara per raccoglierlo. Oppure che nella piscina una mattina, all’improvviso, si trovano tre saraghi (messi di nascosto dal padre). Od ancora che bisogna difendersi dall’attacco dei gatti in quanto animali che metterebbero a repentaglio la sicurezza di tutta la famiglia. Oppure che la madre partorirà un cane.

Situazioni Immaginarie che non possono entrare nell’ordine Simbolico, cioè l’ordine di ogni normale essere umano, in quanto è mancato proprio il processo di umanizzazione primario (l’Altro che infonde la parola inteso come corretto rapporto significante-significato).

Esperimento riuscito? E’ valido un modello educativo simile finalizzato ad evitare ogni mortifera influenza esterna?

No, ci dice il geniale regista greco. C’è sempre il rischio che qualche altro “significante” introdotto da soggetti diversi dal nucleo familiare possano alterare, dal di fuori, il limbo linguistico, e quindi, piscologico, dei tre ragazzi. In questo caso è contestualmente sintomatico ed emblematico il ruolo di Christina, una vigilantes dell’industria in cui lavora il padre, assoldata periodicamente per orientare gli impulsi sessuali del figlio maschio.

Ma l’involuzione del rapporto dei due ragazzi, unitamente alla successiva relazione lesbica che si instaura tra Christina ed una delle due sorelle, rappresenteranno il cavallo troia dell’innesto da parte del mondo esterno di quei significanti completamente sconosciuti dai tre ragazzi. Infine, la visione da parte di una delle due ragazze del film “Rocky” su videocassetta di nascosto dai genitori, oltre a due termini, quali “fica” e “zombi”, introdotti dal mondo esterno e “messi in bocca” alle due sorelle ed al fratello (grottesco il tentativo da parte dei genitori di attribuire il significato, rispettivamente di “lampada” e “fiorellini”) rappresentano il preludio dello sfaldamento dell’incredibile esperienza elaborata dal regista greco. Il tragico epilogo della stessa si avrà a seguito di un ulteriore errore dei genitori, che nel tentativo di sostituire Christina con una delle due sorelle pur di mantenere inalterato il periodico soddisfacimento sessuale del fratello, provocheranno, per l’evidente dispiacere e rabbia dell’altra sorella, anche la rottura del costante equilibrio che queste avevano sempre conservato tra di loro.

Il visionario esperimento di Lanthimos ha un duplice pregio.

Il primo, abbastanza evidente, è eccentrico rispetto al contesto intimo in cui il film è girato. Volendo estendere questa tipologia comportamentale ad una società intera (anche se è impossibile la sola ipotesi) potremmo scorgere i nefasti riflessi che si producono dalla manipolazione autoritaria, od in ogni caso autoctona, del rapporto tra realtà (concetto) e sua manifestazione.

Ma il film ci dice qualcosa di più importante. Soprattutto sul piano visivo. Kynodontas come opera cinematografica è il riflesso della complessa costruzione psicologica che la sottende. Il regista greco nel riprendere in maniera particolareggiata la vita, i dialoghi, i sembianti, le grottesche e spesso disturbanti azioni, restituisce quel taglio tra significante e significato che orienta tutta l’opera. I tre ragazzi, nei loro atteggiamenti e nei loro scarni ed assurdi ragionamenti, nella rigidità e persistente fanciullezza dei loro sguardi, e, al contrario, i genitori, nel loro opaco cinismo, rappresentano un mondo che immediatamente lo spettatore percepisce come quello che è: immaginario.

E che, soprattutto, non è possibile pensare di evitare, interdire, depotenziare, quell’influsso inevitabile che il linguaggio porta con sé. Non è possibile farlo con modelli chiusi in se stessi, perseveranti nel conservare un mondo immaginario che tale non è e non può esserci.

Risultato? Solo una sana società, che riesca a coniugare correttamente il rapporto (oramai adulterato) tra ciò che si vuole esprimere e come lo si esprime, è il viatico obbligatorio del benessere comune.