Regia di Laura Luchetti, 2023
Con una regia elegante, intrisa di malinconia e dai toni crepuscolari Laura Luchetti ripercorre le vicende della giovane Ginia nella Torino della fine degli anni ’30.
Il testo di Cesare Pavese è stato adattato al grande schermo dalla regista che estrae materiale per un’acuta riflessione sulle difficoltà del passaggio all’età adulta.
Il timbro è inizialmente sommesso e sussurrato, quasi che si volesse entrare in punta di piedi nella vicenda della ragazza e di suo fratello, approdati in città per sottrarsi alla povertà della campagna. Intimiditi come sono dalla nuova realtà si sorreggono come possono l’uno con l’altra. Pian piano, tuttavia, la macchina da presa segue con sempre maggiore dinamismo la ragazza. Con toni che ricordano talvolta Il giardino dei Finzi-Contini di Vittorio De Sica il film sollecita nello spettatore un’immersione nelle atmosfere del tempo, facilitata da un’attenta e scrupolosa ricostruzione storica, mai di maniera.
E a fiorire sullo schermo, pertanto, non è solo la Torino di quegli anni, ma anche la psicologia dei protagonisti. Dapprima Ginia, che lavora come sarta presso il principale atelier del centro, appare scontrosa e ancora molto legata al fratello che racchiude il senso della sua vita precedente a cui è stata costretta a rinunciare; man mano che si adatta alla nuova realtà la ragazza appare sempre più curiosa di fare esperienze aprendosi anche alla complessità dell’amore. Infatti, incerta sulla direzione da prendere, subisce una sorta di educazione sentimentale da parte di Amelia, giovanissima modella legata ai pittori; grazie a lei Ginia viene introdotta nel mondo bohemien dell’epoca.
Con la rivoluzione dello sguardo avviene la trasformazione della protagonista che acquisisce infatti una progressiva consapevolezza di sé soprattutto grazie all’intuizione propria di chi ama; ci si riconosce soltanto quando il sentimento e l’eros ci sottraggono alla nebulosa in cui galleggiavamo informi. Ma in questa nuova ricerca la ragazza si smarrisce, e questo corrisponde al momento in cui il film diventa più erratico e labirintico. Se in un primo tempo infatti i suoi gesti erano perfettamente armonizzati con l’atmosfera rarefatta ed elegante dell’atelier, poi dopo sono dominati dall’affanno, dalle corse e dai ritardi sul lavoro. Le immagini non sono mai banali ma risultano audaci e parlano più di mille parole, con colori saturi e angolazioni capaci di farci entrare nel turbinio della mente della protagonista. Le inquadrature di un bucolico laghetto dove i protagonisti si riuniscono insieme ad altri amici durante l’estate suggellano in una narrazione circolare il trascorrere di un anno durane il quale è avvenuto il cambiamento di Ginia, divenuta donna.
È l’amore il vero collante della storia, declinato in più forme: dalla scoperta dell’attrazione sessuale alla dedizione ai membri della propria famiglia e all’amicizia, i legami più che raccontati sono mostrati nell’evidenza delle azioni e grazie a uno stile di regia solido e sobrio le reticenze emergono più di mille parole.
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