Pubblico in questo post una parte del lavoro che sto scrivendo su “Cinema, gruppo e psicoanalisi” che uscirà ad Aprile 2012 sulla rivista telematica Funzione Gamma, il post è relativo al rapporto tra film e sogno. 
Il numero sarà curato da me e da Marco Tramonte, a breve vi segnalerò tutti i lavori che saranno presenti nel numero.

Per introdurre questo tema parto da un concetto bioniano estremamente interessante e cioè: “il pensiero onirico della veglia”. Bion propone di pensare ad una seduta analitica come ad un sogno dove tutti gli elementi fanno parte di un campo che ha come obiettivo costruire elementi narrativi. Il sogno, come l’intero lavoro analitico, costruisce l’universo del possibile, dove tutti gli elementi hanno un senso: non c’è verità o bugia, i personaggi che entrano in scena e la storia narrata ci indicano il mondo interno del paziente e la relazione con l’analista; ci svelano il campo. Antonino Ferro, riprendendo Bion afferma che: “Oltre al sogno notturno, la nostra mente produce continuamente, grazie alla funzione α (leggi post del 22 Gennaio 2012), una continua operazione di alfabetizzazione di tutti gli stimoli sensoriali, proto-emotivi che ci arrivano. Il punto di arrivo di questa operazione è la formazione di elementi α che messi insieme producono per l’appunto il sogno dello stato di veglia.” (Ferro, 2007, p. 59).

Riporto lo schema proposto da Ferro:

schema-ferro

Visto da questo punto di osservazione non è importante se una determinata scena o sogno o racconto sia credibile, non vi è la necessità di seguire il filo di una narrazione che non debba mai subire elementi di falsità, salti temporali e così via. Questo però non vuol dire che se una sceneggiatura o un personaggio è incoerente va sempre bene, anzi questo spesso è il limite di molti film.Naturalmente, così come Freud ha teorizzato che il sogno non è un’esperienza completamente libera, ma segue una logica (oltre alla censura), quella dell’inconscio, con una grammatica specifica, anche il linguaggio cinematografico ha tante regole che il regista segue nella produzione cinematografica. Secondo Musatti il cinema parla direttamente all’inconscio dello spettatore, in quanto esso (l’inconscio) ha la capacità di risuonare emotivamente di fronte alle immagini filmiche e questo per la particolare somiglianza che presentano con le fantasie inconsce. (C. Musatti, 1961). Tale risonanza, secondo Musatti, è forse uno dei principali fattori della diffusione del cinema, la forma d’arte che più si rivolge ad un pubblico di massa. Molti resti diurni dei sogni sono brani filmici. Ciò viene favorito dal fatto che la situazione dello spettatore si può definire “oniroide”: durante il film lo spettatore sperimenta già una situazione onirica, che nel sogno viene amplifica. (Musatti, 1971). Per quanto riguarda i vari punti di contatto fra cinema e sogno si rileva innanzitutto che l’uno e l’altro trasportano l’individuo in una situazione diversa da quella della vita reale. Per entrambi è necessaria una sospensione dell’attività vigile (la sala oscura, una certa immobilità dello spettatore, che presta attenzione alla visione, ricordano la condizione del sognatore), afferma Musatti: “Sogno e cinema ci trasportato altrove. Sogno e cinema costituiscono forme di evasione dalla nostra realtà.” (C. Musatti, 1961, p. 34). Inoltre i film, come i sogni, consentono di soddisfare desideri latenti, a seguito di un allentamento della vigilanza sul mondo esterno. Anche i film, come i sogni, si dimenticano facilmente e restano dei sedimenti nella memoria, andando a costituire il nostro background culturale. 

Anche Christian Metz nel suo ormai classico libro su Cinema e psicoanalisi (1977) propone un collegamento tra il cinema e il sogno. La condizione che più avvicina il film al sogno è quella di una temporanea assenza di movimento: “La situazione filmica porta in sé certi elementi di inibizione motoria, ed è sotto questo aspetto un piccolo sonno, un sonno da svegli. Lo spettatore è relativamente immobile, immerso in una relativa oscurità. […] Egli è già da prima deciso a comportarsi come spettatore, da spettatore e non da attore, durante la durata della proiezione sospende ogni progetto di azione.” (Metz, 1977, p. 124). Metz definisce questa condizione “lo stato filmico”, così come Musatti “lo stato oniroide”.

Bibliografia

Antonino Ferro (2007), Evitare le emozioni, vivere le emozioni, Cortina, Milano.

Christian Metz (1977), Cinema e psicanalisi: il significante immaginario, Marsilio, Venezia 1980.

Cesare Musatti, Scritti sul cinema, in Dario F. Romano (a cura di), Testo & Immagine, Torino 2000.

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