La messa è finita (Italia, 1985). Regia: Nanni Moretti. Interpreti principali: Nanni Moretti, Marco Messeri, Margarita Lozano, Ferruccio De Ceresa, Enrica Maria Modugno, Eugenio Masciari, Luisa De Santis, Pietro De Vico, Roberto Vezzosi, Vincenzo Salemme, Dario Cantarelli

Dopo alcuni anni su un’isola, un giovane sacerdote torna a Roma dove viene assegnato a una parrocchia di periferia. E’ l’occasione per riallacciare i rapporti con la famiglia e gli amici, ma la sua missione non riesce a renderlo un punto di riferimento per le persone con le quali entra in contatto. Un amico, in carcere perché accusato di terrorismo, non gli vuole parlare. Un altro, affetto da depressione dopo la fine di una storia d’amore, sta invitando tutti quanti a non cercarlo più. L’ex parroco da cui ha ereditato la parrocchia si è tolto la veste e ha messo su famiglia. La sorella è legata a un fidanzato sempre assente e il padre si innamora di una ragazza che ha l’età della figlia.

Con ognuno di loro don Giulio si ferma a parlare ma non si pone realmente in ascolto: vorrebbe che tutti fossero felici senza conflitti e incomprensioni, che le famiglie vivessero in piena armonia e tutto filasse liscio come in un mondo ideale. Non ha la pazienza di ascoltare le ragioni altrui, si limita ad esporre le sue aspettative e quando non vengono rispettate si alza e se ne va.

Uno dei topoi morettiani, quello dell’incomunicabilità, le confidenze in cui ciascuno ascolta solo se stesso, viene riproposto continuamente: le porte chiuse appena dopo essere state spalancate, il volume della radio che copre quello della conversazione, i rapidi dietro-front quando il confronto non è più sostenibile… come se la stanchezza di don Giulio non fosse in grado di intercettare la domanda di chi cerca un senso al proprio essere in relazione, in coppia, o coinvolto in un’idea di Stato e di mondo. Don Giulio è spesso irritato, desidera espletare la propria missione facendo indossare ai suoi interlocutori i panni di coppie felici e di amori eterni, travestendoli da personaggi fittizi del suo mondo ideale.

Invece no: l’essere in due, in tanti, comporta la fatica del confronto, prevede il percorso del cambiamento, l’esercizio della mediazione e dell’ascolto. La prima scena del film vede il protagonista scendere le strade del paese, tuffarsi in mare e iniziare a nuotare. Anche l’isola su cui ha vissuto diventa qualcosa da lasciare alle spalle, senza portare nulla con sé: come se ogni porta che si chiude fosse una storia che finisce.

Don Giulio non salva nulla della sua esperienza, né sull’isola né nella capitale. Tutto è inadeguato, sofferto, ostile, tutto è marcio, anche i sentimenti più autentici nascondono qualcosa che non va. Abbiamo imparato ad amare tanti autori perché raccontano storie prive di giudizio, non prendono posizione e tentano di esprimere il punto di vista di ogni protagonista o comprimario. Ma abbiamo amato anche Nanni Moretti, che pur del giudizio indignato, senza indulgenza o comprensione, ha fatto il suo marchio di fabbrica. Forse il tempo ci ha portato a essere meno arrabbiati, ha sfumato le tensioni e arrotondato gli angoli. Magari non è che si muore proprio pompieri, ma forse un po’ contadini sì, in armonia con il ritmo delle stagioni, i canti degli uccelli, i pianti dei bambini. Chi ci sta davanti potrebbe così osservare in noi uno sguardo meno severo e più incuriosito, ascoltare un condizionale e non l’imperativo, un punto di domanda e non di esclamazione.

L’ennesima partenza di don Giulio, l’ultima, cerca di riscattare tutte quelle precedenti: non è più una fuga da qualcosa, ma il tentativo di andare verso qualcuno che ha bisogno di lui.