LA PIANISTA (2001) di MICHAEL HANEKE

Erika non riesce ad incontrare l’Altro. Ad offrire la propria mancanza, a sentire il suo desiderio. Forse lo vorrebbe. Le lacrime che bagnano i suoi occhi quando sente suonare un pianoforte svelano la sua incapacità di amare.

Ma la sua vita, quella oscura, è ben diversa. Odorare salviettine sporche di sperma all’interno di un porno-shop, masturbarsi mentre spia una coppia dentro una macchina, offrire le catene per farsi legare, danneggiare permanentemente una concertista per avergli infilato dei vetri rotti  nella tasca del suo giaccone, sono prove di un godimento sadico, masochistico, feticistico, voyeuristico, che vanno al di là di quel desiderio che non riesce ad intercettare nelle sue dinamiche psichiche. Ha bisogno di oggetti strumentali al suo piacere, di intermediazioni tra Lei e gli Altri. E le intermediazioni sono muri.

L’unico Altro caratterizzato da un eterno conflitto amore/odio è la madre, terribilmente possessiva nei confronti della figlia, che la vorrebbe uguale a sé. Anzi, La vorrebbe per sé, sempre in quel letto dove dormono insieme, con quella figlia che la disprezza, ma non riesce ad allontanarsi.

Erika non è riuscita a superare il complesso edipico perché non è stata aiutata ad entrare in quella dimensione simbolica, di ascolto, di incontro, necessario presupposto per quella umanizzazione del proprio desiderio, quella edificazione della soggettività che ci rende capaci di relazionarci con gli altri. Ecco perché è rimasta Uno. Non solo nella vita convenzionale che svolge nella casa con la madre, o negli ipocriti rapporti con gli altri. Ma anche nella vita perversa, parallela a quella diurna che vive. Sempre lo stesso sguardo, la stessa non-maschera. Per Lei suonare ed insegnare, quale temuta ed intransigente pianista, e guardare un film porno, è la stessa cosa. Nessuna emozione, alcuna apertura. Il volto leggermente alzato, sguardo gelido e quasi ironico, presuntuoso, altezzoso, duro.

Il medesimo che in ogni caso avrà quando incontra Walter, un brillante studioso di ingegneria ed appassionato di piano, che si innamora di Lei. Walter divinizza interiormente la figura di Erika, le melodie che escono dalle sue dita lo incantano, lo sublimano tutte le volte che la vede. Walter vede l’Altro in Erika. Ma Erika rimane Uno. Per Lei il concetto di Amore quale strumento per avvicinare due desideri non esiste. E questo genererà un conflitto comportamentale tra i due fin dal primo momento. La lettera che ad un certo punto Erika gli scrive non è una lettera d’amore, non è una illustrazione della propria mancanza ad essere in attesa che Lui la possa colmare. E’ una lettera ove vengono elencate le varie depravazioni che Lei gli impone di soddisfare, a comprova inoppugnabile che la sua sfera narcisistica accetta che possa godere solo Lei, e che Walter ne rappresenti solo uno strumento.

Troppo, troppo per un ragazzo innamorato di una figura sognante, che scoprirà invece nella sua vera essenza, in maniera traumatica, lasciandola. Erika capirà questo, ma troppo tardi. Il suicidio, con un atto che fonde rabbia e disgusto, dopo aver atteso Walter inutilmente ad un saggio, porrà fine alla sua incomprensibile esistenza.

Haneke con quest’ opera offre un’ulteriore prova magistrale di un registro diegetico che lo ha accompagnato dai suoi primissimi film: la dimensione domestica di un storia si eleva a questione sociale. Il regista tedesco con “La pianista” getta uno sguardo spietato, e particolarmente crudo, nei confronti di una società come quella attuale dove spesso il binomio convenzione/godimento perverso non è antinomico, ma consequenziale. Relazioni familiari non correttamente impiantate, ben custodite all’interno delle quattro mura domestiche possono trascinare una donna come Erika ad adottare comportamenti perversi finalizzati a sostituire alla legge costituiva del desiderio la propria legge, quella del godimento.

Una sostituzione sempre più presente nella nostra società.