La ragazza del Palio (Italia, Francia, 1957). Regia: Luigi Zampa. Interpreti principali: Vittorio Gassman, Diana Dors, Franca Valeri, Bruce Cabot, Teresa Pellati, Tina Lattanzi, Enrico Viarisio, Enzo Garinei
Le modalità di fruizione di un film incidono molto su ciò che ne resta dentro di noi: nel buio della sala cinematografica è facile accostarsi alla dimensione del sogno, accogliere tutto ciò che arriva come un flusso che ci travolge inarrestabile. Già vedere un film in aereo, interrotti dalle hostess o dal vicino di poltrona, ci distanzia dalla vicenda che diventa così un modo per passare il tempo, come uno sguardo dall’oblò o una fila per la toilette. Vederlo in streaming accentua il nostro potere di controllarne lo svolgimento: ci fermiamo, decidiamo se rispondere a una telefonata o a un messaggio, lo mettiamo in pausa per andare in cucina a farci un caffè. Ma a casa siamo soli o ci sono altre persone? E lo guardano insieme a noi, fanno commenti, vogliono convincerci che le serie sono meglio, suggeriscono la versione originale senza sottotitoli? E ancora vederlo in treno, su una tratta da pendolare, con le portiere che si aprono e i turisti che ci danno un pestone, lo fa essere ancora un film o lo trasforma nel succedaneo di uno scrolling distratto?
La ragazza del Palio è emerso, inaspettato, in un sabato mattina estivo sulla TV di casa dalle onde di Rai Tre: Gassman, doppiato da Emilio Cigoli (e ascoltandolo è possibile scoprire molti divi dell’epoca ai quali prestò la voce), appare decisamente poco ispirato, Luigi Zampa non è che il fratello distratto del regista di “Anni ruggenti” e “Bello, onesto, emigrato Australia…”. Anche Giuseppe Rotunno, che tre anni dopo avrebbe dato una magnifica profondità al b/n di Rocco e i suoi fratelli, con questo pionieristico Technicolor faticava a trovare un equilibrio.
La trama è semplice: Diana, platinata ragazza texana dalla silhouette incantevole e dai costumi di scena attillatissimi, arriva in Italia dopo aver vinto un viaggio-premio e un’auto a un telequiz. Guidando il suo macchinone (arrivato in Italia per nave?) per i vicoli di Siena finisce per incastrarsi in un incrocio e conoscere così il conte di Montalcino, nobile spiantato ma fascinoso con cui, dopo qualche schermaglia iniziale, nasce un flirt.

Ma l’ambiente dei nobili metterà sull’avviso il protagonista suggerendogli di non fidarsi della straniera, che a dispetto dell’auto rimane sempre la figlia di un benzinaio e quindi una probabile cacciatrice di dote. Sarà il Palio, che lei correrà per far valere un principio etico, dietro al quale si nasconde una ripicca personale, a riavvicinarli e coronare la loro favola.
Una pellicola più minima che minore, però in grado di ricondurre a un tempo in cui vedere un film il sabato o la domenica mattina significava lasciarsi travolgere dalla pigrizia e affondare in una storia sconosciuta – non scelta tra le mille possibili ma caduta dall’alto senza un perché: non c’erano play list, piattaforme, streaming on demand, ma solo ciò che passava la TV di Stato. La Siena di Zampa sembra uscire da una cartolina illustrata su cui l’usura del tempo ha steso una patina di innocenza e leggerezza.

Siamo distanti anni luce dalle vacanze romane con cui nasceva la Hollywood sul Tevere e la mitologia yankee raccontava al mondo che la vita poteva essere più felice in un Paese che aveva perso la guerra che in un altro risultato vincitore. Era il diritto alla felicità, inalienabile, riconosciuto dalla Dichiarazione di Indipendenza. Siamo, piuttosto, in una mitologia minore, dove l’anima di Siena esce a spicchi: nelle cene delle contrade, nella prova generale, negli spalti sulla piazza del Campo allestiti per i notabili cittadini; oppure nelle beghe che precedono la carriera, quando una contrada corrompe il fantino di un’altra per assicurarsi la vittoria; esce per immagini, forme iconiche che ne restituiscono in minima parte la magia, la tensione, uno psicodramma collettivo di difficile comprensione per chi non sia nato dentro le mura della città. Che poi Diana, che aveva appreso l’arte di cavalcare a pelo nei rodei texani, sappia inserirsi in un attimo all’interno nel mondo più macho che esista fino a dominarlo e uscirne vincitrice, fa parte della fantasia degli sceneggiatori e, in ultima analisi, della magia del cinema.
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